10. Domande senza risposta

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IAN

Non so per la precisione quanti giorni siano passati da quando mi hanno brutalmente sbattuto in isolamento. Ad occhio e croce direi una settimana, ma forse di più, o di meno.

Non ne sono così sicuro, insomma, la mia nuova cella sembra un set cinematografico, non riesco a capire quando il sole tramonta per dare spazio alla luna, né quando è ora di mangiare, dormire o semplicemente svegliarsi.

Mi portano una razione di cibo ogni sei ore, o almeno è quello che sono riuscito a capire. Fin'ora non ho toccato quasi nulla, se non del misero pane raffermo.

L'isolamento in questo posto mi ricorda una vera e propria prigione, è come se ti dicessero "ehi, qui hai molta libertà, ma o ti comporti bene o sono cazzi tuoi".

Non ho visto né sentito Alexandra, credo che mi odi, o che sia semplicemente furiosa. Non so nemmeno se il ragazzo che ho quasi ucciso è morto davvero, se è finito in coma o se sta liberamente passando la sua ora di libertà in cortile.

Credo di impazzire.

Ho passato il mio tempo a pensare e ripensare al mio cazzo di problema con la rabbia, incontrollabile, assassina e invincibile rabbia del cazzo.

Non volevo fargli realmente del male, volevo solo che si togliesse dalle palle. Eppure quando il suo sangue ha iniziato a sgorgare ho avvertito una piacevole sensazione di potere, così intensa da non riuscire a fermarmi.

Il piano era di fingermi malato, di inventare qualche problema psicologico tale da evitarmi la galera, adesso però sembra che io non debba impegnarmi così tanto a fingere. Ho davvero un serio problema con l'autocontrollo e questo lo so fin da bambino, fin da quando guardavo mio padre fare del male a mia mamma senza che io potessi far nulla, costretto poi a prendermela con le mura della mia stanza.

Magari è per questo motivo che il giudice ha creduto a tutte le palle che gli sono state raccontate e mi ha spedito qui.

Uccidere una persona ti porta via un pezzo d'anima: questo è quello che dicono tutti. Nessuno sa però quanto la sensazione di avere il dominio sugli altri sia insostenibile per quelli come me.

Me lo ricordo ancora, il mio primo omicidio, mi sono sentito invincibile, come se niente potesse scalfirmi eppure i sensi di colpa di quell'evento ancora non mi fanno dormire la notte. Non l'ho mai detto a nessuno, perché nessuno deve saperlo, ma non c'è momento in cui quelle scene non mi tornino in mente.

E' per questo che ho smesso di uccidere, cerco sempre di evitarlo e se proprio mi trovo in trappola preferisco ferire gravemente, pur di non togliere vite. Non l'ho ucciso io quel poliziotto; avevo abbassato l'arma, l'avevo fatto, eppure i testimoni hanno affermato il contrario. 

Secondo Mitchell qualcuno voleva fottermi, qualcuno mi voleva togliere di mezzo nel modo meno complicato possibile, mandando all'aria il nostro ben studiato piano, senza macchiarsi le mani con il mio sangue e se non fosse stato per il mio capo e i suoi cazzutissimi avvocati ci sarebbe riuscito.

In ogni caso, o sono già pazzo o manca davvero poco.

Sono disteso sul letto a fissare il soffitto e credo di essere rimasto così per giorni. Non ne sono sicuro.

Quando mi hanno chiuso qui dentro ho continuato a dare pugni al muro, non so bene il perché, credo che l'isolamento ti faccia fare sul serio i conti con la tua coscienza. Ora il fondo bianco è interrotto da un'enorme macchia rossa, le mie nocche sono ancora sbucciate e a volte bruciano, non così tanto, ma vorrei poterle disinfettare prima che mi diventino viola le mani.

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