33. Polinesia

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Vi chiedo umilmente scusa, ci sentiamo nello spazio autrice, per ora godetevi il capitolo. ❤️❤️





ALEX

Quando stamattina la solita sveglia è suonata avrei preferito continuare a nascondermi nelle mie coperte, perché in fin dei conti mi sembra il modo migliore per affrontare tutto questo.

È che io sono una psicologa, sempre pronta a prendere appunti, fornire supporto e diagnosticare disturbi. Questo lo so fare bene eh, credo di essere nata per risolvere i casini degli altri.

La verità? Non c'ho mai avuto nessuna voglia di risolvere i miei. Che più che voglia lo chiamerei coraggio, perché ce ne vuole parecchio per affrontare sé stessi.

Qualcuno vedeva la psiche come un grosso palazzo con centinaia di piani, simile a quelli che riempiono il centro di questa città del cazzo. Solo che il punto di partenza è l'ultimo piano, dove arriva meglio la luce del sole e le cose sono abbastanza chiare da riuscirle a sostenere. Poi si scende, sempre più giù, e non puoi nemmeno prendere l'ascensore. Immagina dover fare centinaia di piani a piedi perché sei costretto a prendere le scale.

Non puoi saltarne nemmeno uno, 99. 98. 97...50...30...15 te li devi fare tutti, devi leggere i nomi su ogni porta di ogni piano, non puoi scappare e non puoi nemmeno correre, perché ci vorrebbe troppo fiato e qualcuno ha a malapena l'aria necessaria per continuare a respirare.

E così ho capito che sto palazzo alto alto è più simile a un manicomio che ad un grattacielo pieno di uffici e che io, nonostante agisca come se avessi tutto sotto controllo, non ho nessuna voglia di farmelo a piedi.

Suderei troppo, il fiato mi verrebbe a mancare più e più volte e alla fine probabilmente per mettere fine allo strazio delle scale mi lancerei dalla prima finestra aperta.

Che importa? Lanciarmi è la cosa che so fare meglio, come se non avessi paura di morire una volta arrivata al suolo.

Sono così vigliacca che per me è più facile rischiare tutto, che affrontare tutte le porte di tutti i piani del mio palazzo fatiscente.

Ci vuole coraggio e io non ce l'ho.

-Devi alzarti, ha già chiamato Cindy dal Riviera.- la mia migliore amica si siede sul bordo del letto e resta ad osservarmi in silenzio.

-Se l'avessi ucciso, Tia?- alzo gli occhi su di lei, incastrandoli nei suoi.

-Che vuoi dire?-

-Se avessi spinto quel coltello un po' più a fondo, se Paul non fosse arrivato?- porto lo sguardo alle mie mani, rigirandomi i pollici un paio di volte.

-Non sarebbe morto comunque, Alex. O almeno non subito. Ma in ogni caso qualcuno lo avrebbe medicato e tu avresti avuto un problema in più.- passo una mano tra i miei capelli. La testa mi sta scoppiando a causa del post sbornia e non sono minimamente pronta ad affrontare un'altra giornata.

-Dovremmo andare da Paul.- Tia mi comunica l'ennesima notizia del cazzo.

-Non se ne parla, oggi no.- scosto le lenzuola e poggio i piedi nudi sul pavimento della mia stanza. Tia ha già aperto la finestra e riesco a constatare che il tempo fuori rispecchia il mio umore.

Piove, è un vero e proprio temporale a dirla tutta. La pioggia in Florida non è un evento raro, qui non fa mai veramente freddo e l'estate è umida e afosa, ma da maggio a settembre inizia la stagione delle piogge, oltre che degli uragani.

Ormai siamo quasi a metà agosto ed io non mi sono goduta un solo attimo di questa estate. Quando ero piccola era la mia stagione preferita. Io e Cameron passavamo intere giornate nel cortile minuscolo di casa nostra, all'interno di una misera piscinetta gonfiabile in cui, anche da seduti, l'acqua arrivava a malapena alla pancia. Non avevamo niente, eppure ci sentivamo così fortunati a poter passare il tempo con il culo a bagno, insieme, come sempre.

High-over the limits.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora