03. Dubbi

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Worry - Jack Garratt

"Non ci posso credere

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"Non ci posso credere."

Iole alzò lo sguardo dal libro appoggiato al banco, Il velocifero, per portarlo sulla figura di Noemi, ferma in piedi di fianco a lei con le braccia incrociate e il sopracciglio destro inarcato, gli occhi scuri che la osservavano con aria scioccata.

"A cosa?" chiese, infilando il dito tra le pagine per evitare di perdere il segno, mentre dietro l'amica sciamavano un paio studenti intontiti, un caffè in mano e lo sguardo addormentato.

"Fammi capire" disse l'altra, spostando le braccia sui fianchi. "Tu ieri mi hai promesso che stamattina mi avresti spiegato tutto quello che è accaduto sabato, e ti siedi in quarta fila?"

"Ma in fondo non ci vedo."

Noemi sospirò massaggiandosi le tempie, mentre Iole lanciava uno sguardo veloce per l'aula, i cui posti pian piano iniziavano a riempirsi di studenti assonnati e ancora con la mente imprigionata nel weekend. Tornò a guardare l'amica, alzando le spalle per dirle che ormai non avevano molti altri punti dove mettersi, e si ritrovò a sogghignare davanti all'occhiata spazientita che le rivolse.

"Fammi spazio" borbottò Noemi, costringendo l'altra a scivolare nel posto vicino. "Sei l'unica persona che io conosca desiderosa di seguire bene la lezione del lunedì mattina."

Iole ignorò la considerazione dell'amica, sostituendo al dito il segnalibro e mettendo il romanzo dentro lo zaino abbandonato a terra; una parte di sé, quella in fase di coma del lunedì mattina, avrebbe solo voluto far tacere Noemi, desiderosa di potersi rilassare godendosi i dieci minuti mancanti all'inizio della lezione in compagnia del libro, così da svuotare la testa prima della lunga giornata che l'attendeva, ma l'altra scalpitava per poter spiegare cos'era successo.

"Dunque" iniziò Noemi, appoggiando il suo cellulare sul banco, il salvaschermo con una foto di lei e Juri che segnava le otto e trentacinque. "Spiegami bene cos'è questa storia dell'uscire con Marco."

"Non c'è molto di più di quello che ti ho scritto ieri" rispose lei, girando l'anello sul pollice con fare distratto. "Da brava cretina quale sono mi sono chiusa in camera sua a piangere e lui è venuto a consolarmi."

L'amica alzò gli occhi al cielo. "Primo, non sei cretina" disse, spostando dietro l'orecchio una ciocca di capelli che le era scivolata davanti agli occhi. "Secondo, consolarti come?"

"Cosa vuoi che abbia fatto?" Iole arricciò il naso. "Mi ha abbracciato. Fine."

"Ma poi ti ha chiesto di uscire" tornò alla carica l'altra, il tono come quello di un bambino davanti a un nuovo giocattolo. "Ti. Ha. Chiesto. Di. Uscire. Non è possibile che sia più eccitata io di te!"

Iole scrollò le spalle, un sorriso triste che le piegava le labbra. "Tanto ha la ragazza" sussurrò, l'immagine sfocata della figura femminile scorta sabato sera che continuava a ripresentarsi nella sua testa, ricordandole che non serviva a nulla mettersi a sperare. Non c'era e non avrebbe mai potuto esserci niente.

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