13. Incubi e verità

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Come Uccidere Un Usignolo - Ernia

Iole era sdraiata sul suo letto ormai da ore, col fianco sinistro a contatto con le fresche lenzuola e quello destro affondato nel materasso, mentre i capelli biondi erano lasciati sciolti sul cuscino a creare un'aureola attorno al suo volto pallido

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Iole era sdraiata sul suo letto ormai da ore, col fianco sinistro a contatto con le fresche lenzuola e quello destro affondato nel materasso, mentre i capelli biondi erano lasciati sciolti sul cuscino a creare un'aureola attorno al suo volto pallido. Teneva gli occhi socchiusi, il crepuscolo che filtrava attraverso le tapparelle appena sollevate e creava un dolce gioco di lame di un arancio dorato, le uniche capaci di squarciare la penombra, accompagnato dal profumo dell'aria ormai estiva che si spandeva per la stanza.

Era stanca, a dir la verità, e il cuore era oppresso da un'agitazione che le impediva di far qualsiasi cosa e la costringeva a un'immobilità totale, impossibile da combattere.

L'unico movimento che si concedeva di compiere, di tanto in tanto, era un leggero grattare sul fianco libero; le unghie che raschiavano sull'epidermide producevano nel suo cervello una piacevole sensazione di tranquillità, quasi un orgasmo capace di ripulirle la mente, svuotandola da ogni paura e tensione.

Grattare, grattare, grattare.

Lo faceva con delicatezza, permettendo solo al rumore dello scivolare dei polpastrelli e delle unghie sulla cute di riempire il silenzio. Solo i soffi leggeri del suo respiro accompagnavano il movimento nelle lunghe ore che iniziavano a sfumare verso la sera, mentre lame di luce si confondevano con le ombre. Spariva tutto, la mente immersa in un silenzio opprimente e l'ansia che, nonostante tutto, continuava a risalirle per la gola quando smetteva di grattare; diventava una massa nera che iniziava a soffocarla, impedendole di respirare e lasciandola agonizzante sul materasso fino a quando le lunghe dita, con delicatezza, tornavano a tastare, sfiorare, strappare la pelle.

Ansimi e graffi nel silenzio, il continuo rincorrersi delle ore che non finiva mai, il giorno e la notte che si confondevano mentre l'ansia seguiva i movimenti di una marea oceanica, di quelle che in pochi minuti ti sommergono e uccidono, afferrandoti e trascinandoti nella corrente, mani che tentano di aggrapparsi a qualsiasi cosa e piedi che si muovono nel disperato tentativo di tornare a galla, di respirare di nuovo a pieni polmoni. Il grattare è la zattera, la quiete prima di tornare giù, nel buio del mare più profondo, creature nascoste che nuotano in cerchio, sfiorando le palme dei piedi, e il terrore che spinge le dita a muoversi più frenetiche e lascia che le unghie arrossino la carne, non più delicata, non più compatta.

Le bastava quello per respirare a pieni polmoni, per sentirsi meglio, senza nessuna paura a offuscarle la testa. In fondo, cos'era un po' di fastidio, il leggero dolore che avanzava e si disperdeva per tutto il corpo, in confronto a un puro momento di pace?

Era bello poter non pensare a nulla in mezzo all'equilibrio instabile di giorni che passavano e si confondevano, le dita ora umide e un leggero senso di panico che iniziava a strisciare nella sua mente, nonostante la barriera erta dal grattare.

Iole non avrebbe guardato a cos'era dovuta la sensazione viscida attaccata ai polpastrelli, non l'avrebbe fatto.

Non voleva farlo.

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