Capitolo 34.

2.2K 62 5
                                    

Soler si girò e sorrise per un'ultima volta prima di dirigersi insieme ai miei genitori al check-in.
Sospirai e passai una mano tra i capelli.
Ero circondata da persone che correvano e abbracci fin troppi duraturi.
Mi avviai fuori e bussai al finestrino.
«Sono andati via?»mi domandò Paulo.
Annui«grazie per avermi accompagnata e per averci lasciati da soli»
Mi sorrise «so cosa significa lasciar partire i propri genitori, con mia mamma è sempre la stessa storia»
Abbassò gli occhiali sul viso e accesse la macchina.
Il sole creava delle sfumature chiare nei suoi capelli e la sua pelle brillava.
Non avevamo parlato in quella settimana, ma mia mamma gli aveva detto della loro partenza e si era offerto di accompagnarmi all'aeroporto.
Non nego che l'andata era stata molto imbarazzante, piena di silenzio e tosse finta.
Accese la radio e partí una canzone di Ozuna.
Socchiusi gli occhi e ascoltai bene le parole.
«Io, mi sembra di aver già vissuto questa scena»
«Mi sembra ovvio, adoravi le sue canzoni»
«no, io intendo proprio questa, mi ricordo di noi in macchina ad ascoltare questa canzone»
Inchiodò con la macchina e imprecai sotto voce.
«Sei seria?»
«Si, ne sono sicura»
Socchiuse gli occhi e poi mi guardò «quando siamo usciti le primi volte, tu hai messo proprio questa canzone-disse indicando lo schermo- la cantammo insieme fu bello»
Gli sorrisi e rimase fermo a guardarmi negli occhi.
Il mio telefono ci smosse dal momento intimo e guardai lo schermo.
«Ciao, sono Martino.
Sono libero tra un'ora per farti vedere l'appartamento fammi sapere se sei disponibile»
Sorrisi leggendo quel messaggio e risposi positivamente.
L'appartamento era al centro di Torino, moderno e sui toni del bianco. L'affitto era più alto del previsto, ma ne valeva la pena anche perché era alla mano di tutto, soprattutto se avrei voluto trovare un lavoro.
«Chi è?»disse sporgendosi verso di me.
«Nessuno»
Chiuso il telefonino e lo misi in tasca.
«È Federico?»chiuse i pugni sul volante, aveva la mascella serrata.
«No, non è lui, è solo il proprietario dell'appartamento che dovrei visitare»
«Stai vedendo un appartamento?»disse quasi sobbalzando.
«Si, non te l'ho detto perché non credevo lo ritenessi importante.»
«Lo è invece»
Misi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e socchiusi le labbra.«È tra un ora, devo preparami-dissi un prendendo le chiavi di casa dalla borsa-puoi accompagnarmi a casa?»
Si girò verso di me, e rimase fisso a guardarmi, mentre il semaforo difronte a noi passava dall'essere arancione a rosso.
Prese la mia mano nella sua e la posò sul cambio.
«Hai visto l'album?»
Abbassai lo sguardo e annuì, presi la mia borsa e cacciai un foglio che probabilmente conosceva benissimo.
La sua mano divenne più fredda e la sua presa più salda.
«L'ho letta, e riletta più di 20 volte, è stata la nottata più brutta. Il senso di colpa era tremendo, non mi ricordavo di te, nonostante io mi sforzassi una continuazione. Io voglio conoscerti per davvero Paulo, ricrea dei momenti con me»
Strombazzarono dietro di noi, e lui sfrecciò via.
«Vorresti riprovarci?»
«Io sto con Fede, lo sai, lo amo e non voglio ferirlo. Potremmo essere amici»
Arrivammo da me e la mia proposta non ebbe ancora una risposta. Scesi dalla macchina in silenzio e mi avviai al cancello.
«Perché non lo ammetti?- mi girai- perché non ammetti che ami entrambi, che ti piace farci soffrire. sappiamo tutti che nonostante tu non abbia ricordi di me, continui ad amarmi, ti sentirai sempre legata a me»
Si avvicinò a me e mi fece indietreggiare fino a sbattere la schiena contro il portone.
Il suo respiro caldo mi fece rabbrividire, il mio battito era accelerato e le sue pupille più dilatate del solito.
«Vedi, come ti faccio sentire? E non ti sto nemmeno toccando»sussurrò.
Appoggio le mani al lato del mio viso e le sue labbra erano sempre più vicine alle mie.
Non riuscivo a muovermi e nemmeno a parlare. Il mio cervello era in subbuglio e il mio stomaco si stava torcendo.
«Cazzo»
Sbatte un pugno sul portone e si allontanò da me, entrò in macchina e sparì.
Il portone alle mie spalle si aprì e per poco non rischiai di cadere sul pavimento.
Federico mi prese al volo e mi riposizionò su due piedi. «Tutto bene? Ho sentito sbattere alla porta»
«Si, ero io non si apriva la porta»mentì.
Annuì e mi guardò negli occhi, si avvicinò per baciarmi, ma mi distaccai subito «devo andarmi a preparare, tra un'ora devo incontrare il proprietario»dissi passando una mano tra i capelli e indicano le scale.

Solo un pò del tuo cuore- Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora