27.

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Grace POV

Affondo la testa in un cuscino morbido e profumato. Un dolore lancinante alla testa mi fa strizzare gli occhi. Ricordo poco e niente della sera prima, solo immagini sfocate e grida.
Sbatto le palpebre un paio di volte prima di abituarmi ad una forte luce puntata contro il mio viso. Lentamente alzo il busto guardandomi intorno, sono circondata da oggetti sfarzosi ed eleganti, non sono a casa mia. All'improvviso una bestia dal pelo lungo e marrone salta sul letto facendomi cacciare un urlo dalla sorpresa, no, non sono decisamente a casa mia.
Allungo una mano facendola annusare al golden retriver davanti a me con la lingua rosa a penzoloni. La testa continua a girarmi fastidiosamente, scosto il piumino pesante dalle mie gambe e appoggio i piedi nudi su un tappeto soffice e colorato. Il cane si accuccia sul letto guardandomi con i suoi grandi occhi marroni. Non mi sono mai piaciute le bestie. Scuoto la testa portandola tra le mani.

Devo andarmene da qui. Mi alzo traballando leggermente sulle mie gambe nude, che fine hanno fatto i miei vestiti? Trattengo a stento un ringhio mentre con lo sguardo cerco gli indumenti che mi appartengono. Con passo felpato mi dirigo verso un armadio enorme, apro le ante grigie trovandolo completamente vuoto, merda. Non vedo altre porte, frugo tra i cassetti trovandoli tutti rigorosamente vuoti. A dir poco fantastico.
Nonostante la stanza sia enorme le mille cianfrusaglie inutili e i mobili sfarzosi, completamente vuoti, la rendono uno spazio soffocante e opprimente. Devo uscire da qui.

Indosso dei pantaloni maschili insieme ad una canotta troppo grande per me, non idea di chi siano, né di chi mi abbia cambiata. Decido di fregarmene e di tornare a casa il prima possibile.
Apro la porta della stanza non trovando la minima resistenza. Mi ritrovo a camminare lungo uno stretto corridoio adornato da vari dipinti a dir poco inquietanti.
L'ultima cosa che rammento di ieri sera sono Spencer, Noah, Zane e Kelsey che entrano in casa emozionati per qualcosa. Una fitta alla tempia arresta la mia patetica fuga facendomi appoggiare al muro. Striscio sul pavimento prendendomi la testa tra le mani. La sento pulsare contro i palmi facendomi stringere i denti.
<Cazzo che male.> La vista mi si offusca leggermente, cosa diavolo mi sta succedendo?

<Scheggia! Cristo santo, ti ho lasciato sola nemmeno per cinque minuti.> Il volto di Trevor mi si pone davanti facendomi ribollire dalla rabbia.
<Non chiamarmi Scheggia.> Dico fulminandolo con lo sguardo, sospira guardandomi triste.
<Dove sono?> Chiedo non lasciandomi toccare dalla sua mano sospesa.
<A casa di Michael.> Mormora sedendosi davanti a me. Ci fissiamo senza dire una parola, stringo i denti infastidita. è bellissimo, nonostante tutto è sempre bellissimo. I suoi occhi plumbei sono circondati da due occhiaie profonde e i capelli neri sono un ammasso di fili disordinati, bello e dannato. Indossa una maglietta a maniche lunghe nera che gli fascia il petto e le braccia muscolose, i pantaloni della tuta grigi non riescono a nascondere le gambe muscolose ed estremamente lunghe.
<Hai finito di farmi la radiografia o vogliamo continuare da qualche altra parte?> Mi chiede sorridendo malizioso. Sbuffo spostando la testa di lato, sento le guance tingersi lentamente di un rosso acceso. Non importa quante volte mi sia ripetuta di dovergli stare lontana, non importa tutto quello che ha detto, insinuato, non importa nemmeno il fatto che abbia distrutto la mia casa, il mio cuore continua a battere furioso per lui, e mi odio per questo.
<Voglio andarmene.> Decreto senza guardarlo a bassa voce.
<Non puoi.> Mormora inclinando la testa.
<Che significa che non posso?> Dico a denti stretti avvicinandomi impercettibilmente.
<Non lo so Grace, quanti significati può avere la frase: "Non puoi"?>
<Non capisco nemmeno perchè sto quì a discutere con te. Non ho bisogno del tuo permesso.> Mi alzo lentamente, le ginocchia sembrano voler cedere in qualsiasi momento.
<Non riesci nemmeno a reggerti in piedi. No fare la stupida, torniamo in camera e parliamone.>
<Da quanto sono qui?> Chiedo ignorandolo completamente.
<Due giorni.> Dice facendomi spalancare gli occhi, due giorni che sono chiusa in quella stanza.
<Oggi è Sabato.> Ribadisce. Due giorni persi dormendo, due giorni buttati all'aria. Non posso permettermi di buttare il tempo in questo modo, soprattutto visto che non ne ho. Cazzo! Ho già perso un lavoro e molto probabilmente non manca molto prima di perdere anche quello al Black, ho un debito da saldare con quei bastardi degli Outsider e una retta ospedaliera da sostenere. In più il preside  non vede l'ora di buttarmi fuori dall'accademia a calci in culo, in quel caso finirei direttamente per essere processata senza alcun attenuante. Abel mi abbandonerebbe come tutti realizzando che non sono migliore di come mi descrivono. Se questo succedesse non ci sarebbe più nessuno a prendersi cura di Ashton, rimarrebbe solo anche lui. Trattengo un respiro agitato, gli Outsider mi cercano, e se non do loro quello che vogliono finirò a far parte di una vita che voglio abbandonare... Io non avrei più alcuna speranza...
Non posso permettere che niente di tutto ciò accada. Non posso, non posso permetterlo.

<Grace! Cazzo rispondi!> Mi sento scuotere violentemente per le spalle, spalanco gli occhi che bruciano per le lacrime amare che mi costringo a non versare.
<Sei con me Scheggia?> Mi chiede titubante Trevor prima di vedermi annuire lentamente. Mi sento attirrare in un abbraccio a cui non riesco a resistere. Il suo cuore batte furiosamente contro il mio altrettanto agitato. 
<Mi hai spaventato, eri sparita, non eri più con me.> Sussurra contro il mio orecchio. Non resisto e affondo il viso nell'incavo del suo collo, sospiro inalando il suo solito profumo.
Sono un fottuto disastro, un mare di contraddizioni. Due giorni fa gli ho detto le peggio cose e ora mi ritrovo spalmata addosso a lui. Cosa ho che non va?
Non mi accorgo nemmeno di esser stata trasportata nuovamente nella camera succinta di prima. Stringo la sua maglietta nei miei pugni quando cerca di allontanarsi. Lo sento sorridere sopra la mia testa mentre si sdraia accanto a me. Sono confusione, non capisco più niente, né di quello che mi circonda né di quello che provo. Vorrei che tutto tornasse come prima, quando avevo dei pilastri, una routine su cui basarmi. Ci perdiamo tra i nostri pensieri per svariati minuti, sentendo la presenza rassicurante l'uno dell'altro, almeno per me.

JUDGE MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora