CAPITOLO 13

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Incontro i suoi occhi ghiaccio, preoccupati. Merda.

"Louis, vattene!" grido.

Il rumore delle onde si fa sempre più forte e il cielo sempre più scuro.

"Alison, ti prego cazzo!" grida anche lui.

È preoccupato. Trema.

Il colore dei suoi occhi non è più lo stesso, ma bensì più scuro.

Si avvicina a me tendendomi la sua mano per afferrarla.

Sembra uno di quei tanti film in cui la protagonista pazza vuole suicidarsi e il ragazzo, di cui è innamorata, la salva.

Nel mio caso, non è il ragazzo di cui sono innamorata a salvarmi, ma il mio migliore amico.

"Ti prego. Non fare cazzate. Sei la persona più importante per me" inizia a piangere.

Odio vedere la gente piangere a causa mia.

Voglio davvero farlo? Cosa mi è passato per la testa?

Afferro la sua mano tremante e lui non esita a prendermi e a stringermi in un abbraccio confortante.

"Andiamo a casa ok?" mi dice dolcemente.

Annuisco soltanto.

Il tragitto è silenzioso. Sono imbarazzata per ciò che ho fatto.

"Louis, ti va di dormire qua? Tanto i miei non ci sono" gli chiedo appena entriamo a casa mia.

"Certo" sorride.

Vado a prendere il pigiama di mio padre, che non ha mai usato, e lo lascio a Louis.

Nel frattempo che Louis sta in bagno a cambiarsi, io mi infilò sotto le coperte.
Dopo circa cinque minuti arriva, si mette sotto le coperte e mi abbraccia.

Sorriso involontariamente e mi lascio andare al sonno.

-

Mi sveglio con la luce che penetra dalla finestra.

È un giorno scolastico, ma non me la sento proprio di andare a scuola.

Nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.

Mi giro e vedo Louis dormire.

Sorrido a quella visione.

Louis ormai è il mio angelo custode. C'è sempre, e senza lui sarei già morta da un pezzo.

Scendo a preparare la colazione.

Dopo alcuni minuti sento dei passi e dei lamenti.

Mi giro e vedo Louis sulla porta della cucina.

Ha tutti i capelli a cazzo e gli occhi ancora chiusi.

Sembra uno zombie.

Ridacchio.

"Cosa hai tu di ridere, piccola birichina?"

Chiede ancora con gli occhi chiusi sedendosi su una sedia che, poveretto, avendo gli occhi chiusi, non calcola bene dove si trova essa, e cade sbattendo il mento al tavolo.

Sputo il caffè che stavo bevendo e inizio a ridere senza finire più.

"Che cazzo ti ridi?" si lamenta massaggiandosi il mento.

"Buongiorno comunque" dico ridacchiando.

"Lo era!" si alza.

Gli avvicino il caffè ma lui lo rifiuta.

"Non fai colazione?"

"Si ma non bevo caffè. Mangio le carote. C'è l'hai?"

Nego con la testa.

Sapevo che Louis era strano, ma non così tanto.

Chi magierebbe delle carote di prima mattina? Io di certo no.

Passiamo la mattinata sul divano a scherzare e ridere.

Verso l'una Louis se ne va e io rimango sola.

Giro in casa sperando di trovare qualcosa da fare, ma conoscedomi, decido solo di starmene sul divano nella più tranquillità assoluta.

Quella tranquillità però viene interrotta dal campanello.

Apro, e il pakistano davanti a me, entra in casa senza manco salutare.

"Perché non sei venuta a scuola?"

"Perché lo chiedi?"

Sbuffa.

"Ti ho già detto che è da maleducati rispondere a una domanda con un'altra domanda"

Lo imito.

"E non è da maleducati entrare a casa delle persone come se fosse casa loro e senza manco salutare?"

Alison 1, Zayn 0.

Esita un attimo a rispondere.

"Io può" dice infine.

Rido e lui mi segue a ruota guardandomi.

"Mi rispondi adesso?" ritorna serio.

"non mi andava" dico infine.

Non volevo sapesse cosa avevo cercato di fare il giorno scorso.

"È strano che una sfigata e secchiona come te non le va di andare a scuola" ecco che ricomincia.

Questo ragazzo mi fa salire i nervi.

"Sei venuto qua per insultare?" dico infastidita.

"Forse"dice vago.

"beh, allora te ne puoi anda" indico la porta.

"Che c'è di strano in te?" chiede poi.

"Eh?"

"Cioè, tutte le sfigata della scuola sono venute a letto con me. Perché tu non vuoi?"

"Perché io non sono come le altre"

"Lo vedo"

Inizia a fare caldo dentro casa, così mi alzo le maniche.

Lo sguardo del moro cade sui miei polsi.

Cazzo. I tagli. Me li sono dimenticati.

Abbasso subito le maniche.

"Cosa erano?" chiede guardando ancora i miei polsi.

"Nulla"

"Cosa erano?" dice scandendo le parole.

Non sono mica scema eh.

"Ti ho detto nulla"

"Erano tagli"

Ma no davvero? Non lo sapevo.

"Chi è stato?"

Mio nonno.

"Il gatto"

"Tu non hai un gatto"

La sua intelligenza mi sorprende.

"Da piccola ne avevo uno"

"Ok" dice infine.

Sopiro.

C'eravamo guardati sempre negli occhi durante quella "conversazione".

Non gli avrei detto niente. Mi avrebbe umiliata davanti a tutti.

Unlucky (non più in lavorazione) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora