Al pronto soccorso

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Al pronto soccorso, un'infermiera fece stendere Luna su un lettino circondato da tende di carta, senza smettere un attimo di guardare Drago accigliata. Fu però il dottore che si era avvicinato per visitare Luna a esprimere quello che entrambi si stavano chiedendo: - È stato lei a conciarla così?

Drago non si stupì particolarmente che lo credessero capace di una cosa simile. Si era lasciato un po' andare, ma era ancora una montagna di muscoli. In più, era russo, e si ricordava cosa gli aveva detto Koloff prima del suo incontro con Creed: "Questa non è solo un'esibizione amichevole. Siamo noi contro loro". Era evidente che quei due la pensavano allo stesso modo e che avevano perfettamente chiaro che lui, comunque, non faceva parte di loro e avrebbe fatto cose che loro non avrebbero mai fatto. Probabilmente avevano ragione.

Era quasi offeso. Si era allenato così tanto, prima dell'incontro con Rocky, che la sua forza d'urto era arrivata a 2150 libbre per pollice quadrato. Se avesse picchiato Luna sul serio – non gli scappellotti educativi che le appioppava ogni tanto -, altro che un bernoccolo sulla tempia e una costola incrinata.

Si sistemò meglio la giacca addosso. - È stata la sua avversaria.

Il dottore pareva comunque disgustato. – Ha una costola incrinata e solo per miracolo sembra che non ci siano danni alla testa. Ma la teniamo in osservazione per ventiquattr'ore.

-No – rifiutò Drago. – Preferirei che sua madre non la riavesse indietro così.

Il dottore e l'infermiera si scambiarono un'occhiata, poi il medico si erse in tutta la sua altezza, che in realtà non arrivava nemmeno alla spalla di Drago. Lui lo guardò scarsamente impressionato. – Lei deve ritenersi fortunato che non la denunciamo. La ragazza rimane qui. Si vergogni! -. E si allontanò a grandi passi.

-Lei è un mostro – starnazzò l'infermiera. – Io lo so chi è lei. È quello spaccone russo, Ivan Drago -. Pronunciò il nome "Ai-ven".

-Si dice "I-van" – saltò su Luna dalla barella. – E non è uno spaccone. Bisogna parlare, ogni tanto, per essere degli spacconi. In realtà è abbastanza timido. Gli spacconi erano quegli altri per cui combatteva.

Drago le lanciò un'occhiataccia. Si era sentito definire in molti modi, ma "timido" non era tra quelli. La botta in testa doveva aver fatto crollare le ultime, poche inibizioni che tenevano a freno la lingua di Luna.

Ma era così sbagliato, in fondo? Drago non aveva davvero un'opinione su di sé, tendeva a vedersi come lo vedevano gli altri. Forse, però, l'aveva inquadrato meglio Luna in due mesi che tutti gli altri in venticinque anni.

L'infermiera non era dello stesso parere. Scoccò a Luna uno sguardo preoccupato, le disse di non agitarsi, aggiunse: - Non credere che non mi ricordi cos'ha fatto due mesi fa, signore -, e si allontanò impettita sulla scia del medico.

Drago sentì che Luna lo guardava. Si girò a fissarla.

-Non ti preoccupare – disse Luna. – Mia madre non si accorgerà nemmeno che non ci sono.

- Luna.

- Fidati – disse Luna, ostinata.

Drago pensò che fosse meglio così, ma non gli parve una cosa gentile da dire a una ragazzina stesa su un lettino del pronto soccorso.

Col passare delle ore, mentre Luna si addormentava e veniva svegliata a intervalli costanti dalle infermiere (come di prassi per i traumi cranici), Drago si ritrovò a guardare adesso l'orologio, adesso la porta, nell'attesa che Louisa comparisse. Insomma, la figlia era sparita per tutta la sera insieme a un uomo adulto che conoscevano appena, che aveva ucciso un uomo due mesi prima e la cui vicinanza, notoriamente, era sicura come quella di un vulcano sul punto di eruttare. Nessuno aveva chiamato per dirle dove fosse. Possibile che non si preoccupasse, come diceva Luna? Ma no. Semplicemente, non sapeva dove cercarla. Dove avrebbe potuto chiamare? Probabile che in quel momento fosse a casa, terrorizzata. Magari al telefono con la polizia.

Nessuno era ancora venuto a chiedere il numero di telefono di casa Russell per avvisare sua madre. Drago aspettò un'altra ora, poi si arrese. Louisa avrebbe urlato come un'ossessa. Uscì in corridoio per cercare un telefono.

Si chiese perché mai lo stesse facendo. Forse per il modo in cui Luna lo guardava, con quegli occhioni scuri. Luna entrava nella testa delle persone e le faceva diventare pazze.

Chiamò casa Russell.

Dovette fare tre tentativi prima che Louisa rispondesse.

– Pronto? -. La sua voce era strana, distante.

- Louisa, sono Ivan.

- Ivan – ripeté Louisa, trasognata.

- Ivan Drago -. Adesso Drago era allarmato.

- Oh, sì, ciao, Ivan. Come stai?

Come sto io? Ma sa che ore sono? Non si è accorta che sua figlia è sparita con me?

- Io sto bene, ma forse c'è un problema con Luna.

- Luna...Ha fatto qualcosa?

Il tono di Louisa era così strano – sembrava che fosse qualcun altro a parlare al posto suo – che Drago decise di scoprire le sue carte, perché era l'unico modo di capire che le prendesse. – L'ho portata a un incontro di pugilato clandestino e forse ha un trauma cranico. Siamo al pronto soccorso. Vogliono tenerla in osservazione per ventiquattr'ore.

- Scusa, non ho...Cos'ha? – fece Louisa, distratta.

- Sta male – ripeté Drago. – Forse ha un trauma cranico.

- Oh -. E poi silenzio dall'altra parte.

Drago rimase perplesso per qualche istante. Poi disse: - Non dovresti venire qui?

-Non posso. Ho, ehm, preso una pillola perché avevo un po' d'ansia...E potrei averci bevuto sopra un pochino di vino.

Drago non credeva alle sue orecchie. Strinse il cellulare. Era inutile discutere, Luna aveva ragione: Louisa non era lucida. Una pillola per l'ansia? Aveva iniziato a prendere ansiolitici dopo l'incidente del marito, e poi la situazione le era sfuggita di mano?

Per qualche motivo, era irritato, come se gli dovesse importare qualcosa se Louisa non si disturbava a tenere i pezzi insieme per il bene di sua figlia. Cosa che invece, naturalmente, non gli importava affatto. Disse: - Va bene – e riattaccò.

Tornò l'infermiera con una flebo. Lanciò a Drago un'occhiataccia trovandolo nel corridoio. – Lei non avrà mica intenzione di andarsene, vero?

Drago, che aveva appena deciso di farlo, la guardò interdetto.

-Esattamente, che rapporto ha lei con questa ragazza? – domandò l'infermiera in tono diffidente. – È un parente?

- No. Io sono il suo allenatore – disse Drago asciutto.

- Ah. E i suoi genitori dove sono? Dobbiamo chiamarli. Può fornirci lei i contatti?

Drago scosse la testa. – Ho già chiamato io sua madre, ha detto che non può venire.

-Oh -. L'infermiera aggrottò le sopracciglia con aria di disapprovazione. – E suo padre?

- Non c'è.

- Oh – ripeté l'infermiera. – D'accordo. Allora veda se può ricontattare sua madre per chiederle il permesso di firmare il foglio delle dimissioni al suo posto -. Si avviò tirandosi dietro la flebo.

Drago si sentì come se l'avessero appena preso in una trappola diabolica. - Mi scusi, ma io non dovrei neanche essere qui. Sono solo il suo allenatore.

-Può darsi – replicò la donna – ma, a quanto vedo, al momento quella ragazza ha solo lei. 

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