Drago mette in riga le Russell

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Drago e Luna si ritrovarono sulle sedie di plastica del pronto soccorso, a fissare una porta chiusa, in attesa di notizie.

-Qualsiasi cosa succeda, tua madre ti ama – disse Drago a Luna. – Lo sai, vero?

Luna annuì, ma solo per riflesso, continuando a fissare la porta. Drago le mise una mano sulla spalla e Luna l'afferrò. Drago si tirò la sua testa contro il petto e l'abbracciò. Luna si raggomitolò contro di lui.

All'improvviso, la porta aprì e ne uscì lo stesso medico che aveva visitato Luna dopo l'incontro al fight club. Lanciò la solita occhiataccia a Drago, come se sospettasse che fosse stato lui ad avvelenare Louisa, poi assicurò che la donna era fuori pericolo, ma che voleva richiedere un consulto psichiatrico prima di dimetterla.

Drago riportò Luna a casa, chiese ai vicini di tenerla d'occhio e tornò in ospedale, dove rintracciò il medico e gli chiese se poteva parlare con Louisa. Ottenne il permesso ed entrò nella stanza in cui l'avevano messa.

Louisa era seduta contro una pila di cuscini, cosciente, vigile e imbarazzata. – Ivan. Luna dov'è?

- A casa. La controllano i vicini. Io sono tornato qui perché dobbiamo parlare.

- Ivan, mi dispiace. Davvero, mi dispiace. Io...

- No, Louisa, stammi a sentire. Non provare mai più a fare una cosa del genere.

Louisa parve sorpresa dal tono di Drago. Fissò le proprie mani sul copriletto. – Non succederà più. Ma questa volta non ho potuto evitare di...

- Be', devi evitarlo. Non puoi lasciare Luna da sola.

- Non è sola. Ha te.

- Non è una scusa! Tu sei sua madre e hai il dovere di proteggerla. Non m'interessa quanto stai male. Sei tu l'adulta, qui, e ti devi assumere le tue responsabilità. Non posso farlo io al posto tuo.

Louisa parve irritata, reazione che Drago accolse con gratitudine. La rabbia era vita, era forza. – Sono malata! Mi hanno mandato uno psichiatra!

-Bene, allora fatti curare. Io non posso sostituirti. Sarà meglio che d'ora in poi tu ti prenda cura di tua figlia, o chiamerò i servizi sociali e lo faranno loro.

Luna, per fortuna, non aveva cercato di scappare di nuovo. Era seduta tranquilla sulla poltrona. Stando alla vicina, che era passata ogni mezz'ora, era là da quando Drago se n'era andato. Non aspettò neanche che Drago avesse chiuso la porta per dire: - Io mollo.

- Cosa?

- Il torneo.

- No...Scusa -. Drago iniziava ad avere mal di testa. Chiuse la porta, mise giù le chiavi e si sfilò la giacca. Poi alzò lentamente lo sguardo su Luna e chiese: - Perché?

- Mio padre è morto.

- Luna...

- No. Il patto è saltato. Anche se vinco, lui non tornerà. Perciò mollo. Tanto è inutile.

Drago prese una sedia, la trascinò fino a Luna e si sedette. Si chinò verso di lei e le strinse le ginocchia con le grandi mani pesanti. – Tu non molli proprio niente, dopo che mi hai obbligato ad allenarti, venendo ad assediare la mia porta in albergo e rifiutandoti di lasciarmi in pace finché non ho ceduto.

Un lampo di sfida balenò negli occhi di Luna. – Non puoi costringermi.

- Forse no. Ma posso dirti per esperienza che, se molli, te ne pentirai.

- Non m'importa.

- T'importerà. Abbiamo lavorato troppo duramente per arrenderci adesso.

- Non posso -. Luna scosse la testa. – Non ce la faccio.

- Sì che ce la fai! All'inizio sarà doloroso. Vero. Ma non importa. Se inizi a scappare adesso, Luna, non ti fermerai più. Devi affrontarla subito, questa cosa. Continuerai a lottare e andrai fino in fondo. Non per tuo padre, non per me, ma solo per te stessa. Perché la mia allieva non è una che molla. Mi capisci?

Luna esitò. Poi, lentamente, annuì.

- Do kontsa – disse Drago.

- Fino alla fine – ripeté Luna.

-Tu sei piccola – considerò Drago – ma sei d'acciaio. Ty stal' -. Le toccò la fronte. – Qui.

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