Agosto

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Agosto

Mancava solo un mese all'inizio del torneo e Drago allenò Luna più duramente che mai. Luna correva, usava ogni macchinario della palestra per irrobustire braccia e gambe, prendeva a pugni il sacco da boxe, sollevava pesi, combatteva contro i compagni in palestra – era il ritratto della concentrazione mentre danzava intorno a Brian o Andy, mettendo a segno un colpo dopo l'altro, schivando, spostandosi e abbassandosi -, saltava la corda, faceva addominali, flessioni e Planck fino a non poterne più, mentre Drago le stava col fiato sul collo, le faceva dondolare un cronometro davanti agli occhi quando correva, e inventava modi sempre nuovi di torturarla.

Nel frattempo, anche Drago continuava a correre. Sentiva che il suo corpo stava tornando quello di un tempo. I muscoli si ridefinivano, il grasso spariva, le gambe erano di nuovo forti. Un giorno, corse fino a un negozio di articoli sportivi e ci entrò quasi senza rendersene conto. Si ritrovò davanti a uno scaffale a fissare i guanti imbottiti. Prima di accorgersi di cosa stesse facendo, li comprò, uscì dal negozio e andò in palestra.

Max era in vacanza, ma gli aveva lasciato le chiavi nel caso il suo gruppo si volesse allenare, a patto che pulissero loro. Drago entrò nella saletta del ring ed estrasse i guanti dalla scatola.

Ne inspirò l'odore e sentì un'emozione violenta, grezza, incontrollabile gonfiargli il petto. Il sentore era quello che ricordava, l'odore della gomma nuova, ma anche del sacrificio e della vittoria o semplicemente della consapevolezza di aver dato sul ring tutto quello che si ha. Provò una gioia mista a dolore e paura. Ricordi che aveva tentato di reprimere per otto mesi riaffiorarono alla superficie. Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Indossò i guanti e si avvicinò lentamente al sacco.

Si era ripromesso di non combattere più, perché sentiva di non essere più all'altezza di se stesso, di non avere più diritto a quella parte fondamentale della sua identità. Ma forse si sbagliava. Amava combattere. L'amava con ogni fibra del suo essere. Gli mancava in modo profondo e doloroso. Il suo corpo, la sua mente, la sua anima ne avevano bisogno.

Aveva quasi dimenticato la sensazione della mano, chiusa e protetta, contro il sacco, la sensazione dei muscoli di tutto il corpo che si sincronizzavano per sferrare un colpo. Doveva provarla di nuovo. Si mise in guardia, con un nodo in gola.

Cominciò a tirare. Il suo corpo ebbe un attimo d'incertezza che lo spaventò, poi si ricordò come si facesse. Drago provò una gioia autentica. Scoprì che poteva sentirsi così anche senza spettatori urlanti o sponsor pieni di soldi.

C'era qualcosa di nuovo in lui.

Drago non avrebbe saputo dire cosa fosse. Ma era nuovo. Aveva a che fare con l'amore, forse, in senso lato. Affetto, amicizia. Drago non li aveva mai conosciuti, prima, non davvero.

Probabilmente c'era stato un tempo in cui non era così spaventoso e privo di emozioni. Un tempo in cui era stato in grado di provare speranza, gioia, tristezza e paura con un'intensità che adesso non raggiungeva nemmeno nei momenti migliori. Un tempo in cui era stato umano. Ma era anche il tempo in cui era stato debole, e si era esaurito prima che Drago compisse undici anni. Lui non se lo ricordava più. Sapeva solo che, prima, durante e dopo quel tempo, chi avrebbe dovuto amarlo, non l'aveva fatto. Suo padre era di pietra; Ludmilla era di ghiaccio. A tutte le altre persone che avevano attraversato la sua vita – Koloff, Vega, Rimskij – non era mai importato veramente di lui. In Drago, vedevano solo uno strumento. A Drago non aveva mai dato fastidio, perché non sapeva che c'era dell'altro. Sì, gli capitava di vederlo nelle altre persone, ma l'osservava distrattamente, senza capire bene cosa fosse, senza chiederselo. Tutto quello che Drago conosceva, prima, erano i pugni.

Aveva iniziato a boxare perché l'aveva spinto suo padre e perché era una cosa in cui era bravo, ma se n'era innamorato immediatamente. Era l'unica cosa che lo rendesse felice, era lui. Si allenava anche dieci ore al giorno e dopo la sua stanchezza era solo fisica, non mentale. Se faceva comodo alla Russia, tanto meglio. Ma, come aveva detto a Koloff, lui combatteva per vincere, per sé. Non per la Russia, in fin dei conti. Però, erano stati quelli come Koloff a plasmare l'intera personalità di Drago, la sua mente, il suo spirito, perfino il suo corpo. Drago era enorme, duro, freddo, spietato, silenzioso, incapace di provare rimorso. Non aveva mai avuto un vero rapporto con nessuno. Bastava a se stesso e gli altri gli orbitavano intorno senza sfiorarlo davvero. Letteralmente: l'unico contatto che Drago avesse mai conosciuto era quello violento dello scontro sul ring. Perfino gli amplessi con Ludmilla sembravano degli incontri di wrestling.

E poi era arrivata Luna.

Luna non era pietra, non era ghiaccio, era fuoco. Aveva superato il timore reverenziale che le ispirava Drago con una rapidità incredibile. Lei non solo sfiorava Drago, ma impattava su di lui come un asteroide. E poi, in qualche modo, lei lo capiva. Adesso lo seguiva quando lui usciva per correre. Drago se la trovava di fianco all'improvviso e Luna gli sorrideva quando lui la guardava. Drago non capiva se fosse felice di poter correre senza rischiare di essere investita da una macchina, o che corresse lui.

Luna era una di quelle persone che trovava naturale andare in giro ad abbracciare tutti e a dirgli che voleva loro bene, e non vedeva perché non dovesse fare lo stesso con Drago. Le prime volte, Drago si sentiva profondamente scosso e reagiva spingendola via, come se dovesse allontanare un avversario che cercava di legarlo sul ring. Luna non aveva demorso, forse perché aveva intuito che l'allergia di Drago al contatto fisico non era innata e che anzi, forse era lui quello che ne aveva bisogno più di tutti. Dopo un po', infatti, lui aveva smesso di respingerla e aveva iniziato a subire passivamente quando Luna, esattamente come faceva con sua madre, con Eveline o con Bertrand, lo baciava su una guancia per salutarlo o ringraziarlo, quando si appoggiava contro la sua spalla mentre lui le mostrava i filmati degli incontri di pugilato in TV, o quando lo abbracciava senza alcun motivo. Anzi, a un certo punto – sebbene Drago si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che ammetterlo - aveva iniziato addirittura a fargli piacere, anche se non ricambiava, perché non gli veniva spontaneo manifestare l'affetto, come veniva a lei. Si sentiva molto protettivo nei suoi confronti, anche se Luna non aveva bisogno di protezione.

E non era solo Luna. C'era Alice, naturalmente. C'era Louisa che gli sorrideva con quell'aria materna che Drago aveva dimenticato da anni e che gli tagliava i capelli quando diventavano troppo lunghi. C'erano i ragazzi di un corso di pugilato dove lui insegnava, che lo vedevano come un uomo, non come una macchina, e dove – adesso - combatteva perché voleva farlo e non perché qualcun altro si aspettava che lui lo facesse; dove non importava se mezzo mondo ti riteneva un mostro, se eri il campione del mondo di pesi massimi o un gatekeeper, se eri nato in America o nell'Unione Sovietica, non importava nemmeno se avevi ucciso un uomo. L'unica cosa che importava, lì, era l'amore per il pugilato.

Nient'altro.

Sentì che qualcuno era entrato. Si girò: era Bertrand. Pareva contento di vederlo così. Gli indicò il ring con un sorriso interrogativo.

Drago scavalcò le corde.

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