CAPITOLO 12

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Breve visita alle prigioni del Reame Boscoso

Legolas condusse Arya attraverso numerosi corridoi fino alla sala del trono. Questa era il cuore del palazzo di Thranduil, la più vasta e maestosa delle caverne sotterranee, illuminata da un gran numero di torce e lampade, che rischiaravano le immense colonne intagliate e decorate con pitture e mosaici. Al centro della sala il Re degli Elfi Silvani sedeva sul suo trono, anch'esso inciso nel legno, sollevato rispetto al pavimento, come a dimostrazione della superbia del suo proprietario. Thranduil osservava attentamente la ragazza, studiando ogni suo minimo particolare, cercando dei punti deboli da utilizzare a suo vantaggio. Arya lo sapeva e rimaneva impassibile sotto il suo sguardo attento.

"Mio figlio mi ha riferito che parli la nostra lingua."

Asserì il re di punto in bianco, scendendo dal suo trono ed avviandosi verso la giovane raminga.

"Sì, mio signore, è vero."

Confermò lei con sicurezza.

"E come mai una giovane donna conosce il Sindarin? Non è certo comune lo studio di una simile lingua tra gli uomini."

"Sono certa, mio signore, che siate a conoscenza degli ampi volumi di Sindarin presenti nella biblioteca di Minas Tirith, accessibili a tutti."

Le labbra di Thranduil si piegarono in un ghigno: quella ragazza aveva carattere. La osservò meglio, di nuovo alla ricerca di qualcosa da usare a suo vantaggio, ma non c'era nessun segno di incertezza nel suo modo di fare. Fu allora che il re notò un luccichio intorno al collo della giovane. Le si avvicinò per osservarlo meglio. Si trattava di una catenina con appeso un ciondolo, un anello. Arya si accorse dell'interesse di Thranduil verso la base del suo collo e perse un battito. Il re continuò ad avvicinarsi a lei a passo lento, gli occhi fissi su quell'anello: sapeva di averlo già visto, sapeva che era importante, ma perché? Fu questione di un attimo, un'intuizione, Thranduil sgranò gli occhi e fissò la giovane.

"Dimmi, che cosa ci fa la figlia di Arathorn in una compagnia di nani?"

Le chiese guardandola dritto negli occhi, con il volto a pochi centimetri dal suo.

"Con tutto il rispetto, vostra maestà, non credo che i miei affari con i nani vi riguardino."

Rispose Arya seria. Era arrabbiata. Era decisamente arrabbiata, ma più con se stessa che con Thranduil in realtà, per non aver nascosto meglio l'anello.

"Mi riguardano nel momento in cui decidete di passare per il mio regno nel folle tentativo di reclamare un tesoro ormai perduto da anni!"

Affermò Thranduil, alzando il tono di voce. Il sovrano si allontanò dalla giovane e le diede le spalle.

"Quel tesoro appartiene a Thorin per diritto di nascita, non mi sembra poi così folle che voglia reclamarlo!"

Replicò allora la ragazza.

"Sarà difficile mentre è chiuso nei miei sotterranei, temo. Ho offerto a Scudodiquercia un accordo che avrebbe fatto meglio ad accettare, ma è troppo testardo ed arrogante per capirlo. Resterete qui, quindi, fino a quando non deciderò altrimenti."

Concluse il re degli Elfi con fermezza, prima di ordinare a suo figlio di riportare la giovane in cella.
Legolas mise una mano sulla spalla di Arya e la spinse in avanti intimandole di muoversi, lei non oppose resistenza e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata a Thranduil, cominciò a camminare. Quando furono abbastanza lontani dalla sala del trono rallentarono il passo.

"Stai bene?"

Le chiese il principe, cercando di mantenere un tono freddo e distaccato. Arya si stupì della domanda e sorrise.

𝐋'𝐔𝐋𝐓𝐈𝐌𝐀 𝐄𝐑𝐄𝐃𝐄 𝐃𝐈 𝐈𝐒𝐈𝐋𝐃𝐔𝐑Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora