capitolo 2~ strane voci

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Aprii gli occhi di scatto. Inizialmente la vista era offuscata, ma poi, mano a mano, divenne nitida. Ero in una stanza d'ospedale con tanti fili attaccati alle braccia e una macchina che costantemente suonava, indicando il mio battito cardiaco. Nella stanza le finestre erano aperte. Il sole del mattino si faceva strada oltre le tende. C'era una piccola TV accesa e una porta bianca, forse un bagno. Sospirai con gli occhi al soffitto. Il mio tentativo di morire era fallito ed ero disperata.
Non peccare.
Mi ammonì una voce maschile sconosciuta.
-Chi ha parlato?- domandai tremante. Girai la testa verso ogni angolo della stanza. Non c'era nessuno. Probabilmente ero impazzita. Iniziavo a sentire voci che non esistevano nella realtà. O forse era l'effetto dei farmaci che mi stavano somministrando per via endovena?
Non sei pazza, ripeté quella voce quindi il mio cuore prese a battere con maggiore velocità.
-Se è uno scherzo è di cattivo gusto! Chi sei? Fatti vedere!- ordinai tremante. Che avevo fatto? Ero sopravvissuta alla morte ma qualcosa era andato storto. Che a parlarmi fosse qualche spirito? Iniziai ad avere la pelle d'oca. Allungai la coperta fino al naso, nonostante ci fossero i condizionatori. La stanza era calda ma io ero troppo spaventata.
Ci sei andata vicino... rispose, quindi lanciai un urlo. Le infermiere accorsero nella mia stanza. Si accorsero che avevo la pressione alta.
-Aiuto! Aiuto! C'è qualcuno nella stanza! Vi prego, controllate... Nel bagno! Nel bagno!- feci segno all'infermiera. La donna si accinse ad aprire la porta ma non trovò nessuno.
-Stai calma. Ti sei appena svegliata. Sono tre giorni che dormi profondamente- mi rassicurò, accarezzandomi i capelli. Era giovane, non aveva più di quarant'anni.
-Ho sentito qualcuno. Ve lo giuro, non sono pazza... Ho sentito qualcosa nella mia testa...- fu lì che compresi l'assurdità delle mie parole. Se avessi mostrato segni di squilibrio mentale, le infermiere si sarebbero preoccupate e non mi avrebbero dimesso presto. Allora ad un tratto cambiai espressione e smisi di parlare.
Quando venne il medico per farmi diversi controlli, mi chiese subito dell'accaduto. Risposi mentendo che avevo avuto un incubo. Lo rassicurai sicuramente, perché le mie condizioni fisiche e psichiche erano del tutto stabili, questa fu la sua diagnosi. Il giorno successivo mi avrebbero dimesso già. Sorvolai sul chiedere su come mi fossi salvata. Quel pensiero era un punto fisso ma non facevo altro che girarci attorno. Avevo paura che mi raccontassero come mi avevano trovata svenuta nel lago e che mi rimproverassero per la mia immaturità.
La vita è un dono prezioso.
Sentii all'improvviso mentre cercavo di addormentarmi.
-Oh no! Ancora!- presi il cuscino e me lo misi sulle orecchie. Avevo bisogno di riposo. Appena sarei tornata alla normalità, tutto si sarebbe risolto. Mi convinsi.

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Il mattino seguente le infermiere mi aiutarono a vestirmi e a lavarmi. Le avevo informate che ormai ero sola, non avevo parenti e mia madre mi aveva abbandonata prima che facessi quello. Parlare di suicidio era impossibile. Non riuscivo a usare quel termine. Dissero che mi avrebbe accompagnata una di loro con un taxi fino a casa. Mi lasciarono persino un numero di telefono. Dissero poi di aver contattato l'assistente sociale per trovarmi un'ubicazione. Anche se mi spaventava l'idea di vivere con altre persone, non potevo continuare a vivere in quella casa. Soprattutto pensando a quel lago a pochi metri da lì, dove avrei potuto morire.
Decisero di sentirci il mattino seguente per telefono, e che già avrei incontrato la mia nuova famiglia. Le ringraziai, salutando e chiusi la portiera.
Dentro era tutto come l'avevo rimasto. Un disordine cosmico. Mia madre non aveva voglia di pulire casa, ma quando si trattava di se stessa invece la faccenda era diversa. Ogni giorno faceva shopping per sé e spendeva soprattutto in gioielleria. Voleva vivere come una ventenne nel corpo di una cinquantenne. La odiavo per questo. Passai le dita sul tavolo di legno e ad un tratto ebbi uno stordimento. A fatica mi diressi in cameretta e mi accorsi di avere la febbre alta. Non avevo nemmeno dei medicinali con me, avrei passato la notte insonne. Mi veniva da piangere. Com'ero finita in quella situazione orribile? Nel giro di pochissimo tempo? Nessuno poteva aiutarmi perché non avevo una famiglia. Mio padre chissà in che angolo del mondo si trovava, mia madre a cercarlo. Ero figlia unica e non conoscevo cugini né zii. Mi avevano ripudiata tutti e senza motivazione valida. Cercavo di essere una figlia modello, spesso ci riuscivo anche se ero un disastro naturale. E in tutto ciò venivo presa di mira anche in classe. Perché le persone non si facevano gli affari loro. Sempre pronte a puntare il dito contro i deboli per farli precipitare. Presi la coperta di lana e la avvolsi attorno al corpo. Distesa di lato piangevo in solitudine. Facevo pena persino a me stessa.

Eccomi cari lettori.
Perdonatemi per l'assenza.
Questa storia nasce da un'idea che ha preso forma un po' in autonomia, forse sarà stata colpa del destino? E guardate caso, il destino è proprio il nucleo di questa storia! Perché? Perché è necessario che continuate a leggere per scoprirlo!
Un bacio
Buona notte.
Mya🌹

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