capitolo 23~ riportarti in vita

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La signora Choi era il ritratto della felicità. Tutta la famiglia lo notò. I figli vollero saperne di più ma lei si limitava a dire che era l'aria di primavera. In effetti l'inverno era alle spalle, e già i fiori di ciliegio profumavano l'aria. La signora Choi mi chiedeva spesso di Tae, voleva incontrarlo e quando scoppiava a piangere lui appariva per consolarla. Li lasciavo soli in camera a parlare. Origliavo le loro conversazioni e mi commuovevo. Era ingiusto per una madre sopportare un dolore simile. Avere il figlio vicino senza sapere per quanto tempo ciò sarebbe durato. Mi convinsi che un modo c'era. Quindi passavo le notti al computer, cercando delle soluzioni su dei siti strani. Potevo sembrare una pazza ma dentro il mio cuore vagava una convinzione che il mio ruolo era quello di unirli.
"Smettila Jisoo" il computer si chiuse di scatto e io sussultai.
"Oh... Stavo leggendo...!". Tae era nella stanza, l'orologio segnava le due di notte.
"Sei stanca, è da giorni che provi a trovare una soluzione... Smettila di fantasticare" disse bruscamente.
"Che vuoi dire? Sono certa delle mie sensazioni... Da quando ti ho incontrato, tutto quello che è successo, è un segno!" esclamai ma lui scosse la testa e si avvicinò.
"Non posso tornare in vita, sono morto da anni e non so nemmeno il mio tempo qui sulla Terra a che punto è..."
"Che intendi? Non mi puoi abbandonare... Io sono sola..." piagnucolai, così lui sospirò e mi accarezzò il viso con dolcezza.
"Jisoo, tu hai delle persone che ti amano. Il solo pensiero che tu stia con la mia famiglia mi rende entusiasta. Sei protetta, e questa è la cosa più importante per me... E poi hai Bo Gum..."
"Come hai Bo Gum, non lo sopportavi fino a poco fa!". Mi arrabbiai. Voleva che mi mettessi con lui? Già si era arreso?
"Voglio dire, lui è il figlio adottivo di mia madre e ti vorrà sicuramente bene... Sono sereno..." gli diedi una forte spinta, tanto da farlo cadere a terra.
"Sereno? Sei sereno? Ma ti rendi conto di cosa vai dicendo? Ci sono delle persone che ti amano e non possono averti al loro fianco! Che stanno soffrendo e tu invece sei sereno... Sai che ti dico? Ti odio Kim Taehyung, perché sei uno stupido egoista e non te ne importa niente di me... Di noi...". Le lacrime mi scendevano a fiotti, non potevo credere alle sue parole. Voleva lasciarmi? Non l'avrei mai accettato. Piuttosto sarei morta per lui.
L'angelo si alzò, pulendosi i vestiti.
"Non ti avvicinare, mi hai ferito... Non posso sopportare la tua vista" gli imposi ma lui per la prima volta da quando ci incontrammo non mi ascoltò minimamente. Avanzava diretto, così andai a sbattere contro il muro. Mi bloccò, le punte dei nostri piedi si toccarono. Mi spostò i capelli dietro l'orecchio.
"Se potessi tornare in vita anche solo un secondo per poter respirare a ritmo con te, amore mio, lo farei. Ma io sono morto mentre tu hai una vita dinanzi a te. L'amore mi ha insegnato che quando c'è vuoi sempre il meglio per l'altro e io il meglio che voglio per te è che tu viva bene, e realizzi i tuoi sogni". Mi si bloccò il respiro. Mi aveva chiamato amore mio? Avevo sentito giusto? Lui mi prese il mento e avvicinò la sua bocca alla mia. Il cuore stava per esplodere.
"Ti ho chiamato amore mio perché io ti amo, anche se non posso averti e nemmeno pretenderti. Ma lascia che realizzi un mio desiderio custodito da tempo, che la mia bocca e la tua si fondano. Sto peccando lo so, ma sei tanto dolce che non posso farne a meno". Adagiò le sue labbra sulle mie. Chiusi gli occhi. Mi persi, completamente. I miei sensi per interminabili ma insaziabili minuti si spensero. Non volevo che si staccasse per cui strinsi la sua camicia nel pugno.
"Tu conosci la soluzione ma non vuoi dirmela, perché?". Pulì il mio viso con i suoi delicati polpastrelli.
"Perché il mio compito è quello di proteggerti" rispose e lì capii che Tae mi avrebbe mai aiutato, quindi dovevo fare tutto da sola.
Quella notte stessa aprii il libro antico sugli angeli preso in prestito in biblioteca e lessi la verità in poche righe. Così preparai uno zainetto e mi diressi verso il fiume. Recitai la mia preghiera sincera, e la gettai nell'acqua. Salii sul ponte e lasciai che il vento mi scompigliasse i capelli. Sapevo cosa voleva dire annegare, non mi faceva paura la morte. Magari peccavo di presunzione, ma visto che si trattava di un sacrificio di vero amore, non avevo rimpianti. Mi lanciai.

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