capitolo 21~ Kim Taehyung

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Da Seoul a Taegu erano circa tre ore di bus, mi alzai di mattina presto per quel breve viaggio. La scusa che inventai alla famiglia Choi, fu di andare a trovare una vecchia amica di infanzia. La signora Choi aveva insistito nel farmi accompagnare da uno dei figli, ma io avevo cercato di rassicurarla in ogni modo che ero in ottima compagnia. L'angelo Tae era molto nervoso. Il suo piede ticchettava di continuo sul pavimento del bus, causando un maggiore movimento, per cui quando il bus si fermò molte persone si preoccuparono della presenza di un terremoto in atto. Gli dissi nella mente di provare a smettere, perché se si fossero spaventati, avrebbero bloccato tutto e addio viaggio.
"Si, hai ragione, scusami" disse sconfitto.
"È tutto ok" sussurrai. Scendemmo all'ultima fermata, la nostra, e proseguimmo a piedi.
"Ti ricordi del posto in cui abitavi? Il nome di una via, un palazzo, delle persone..." lui si mise una mano sul mento.
"Ricordo che era una via stretta, un po'alberata, era un posto per gente umile, i miei non avevano molto" affermò. Annuii, non sarebbe stato facile trovare la sua casa, lui non ricordava molto del suo passato. Nemmeno le circostanze in cui era deceduto.
"Ti prometto che la troveremo, costi quel che costi. Nessuno ci fermerà" lo confortai, prendendolo per mano. Girammo in lungo e in largo per dieci ore, chiedendo informazioni. I piedi mi facevano un male assurdo, nonostante indossassi delle semplici scarpette da ballerina.
"So che stai soffrendo, torniamo a casa" mi consigliò, vedendomi in difficoltà. Scossi la testa.
"Non mi arrendo, devo mantenere la mia promessa" continuai a camminare a passo svelto.
"Aspetta Jisoo, non è necessario, davvero..." mi bloccò il polso. Anche se me lo stava dicendo con la bocca, i suoi occhi volevano tutt'altro. La verità.
"Dai, è tutto ok... Siamo vicini ho una strana sensazione...". Ad un tratto, fu come se tutto si fosse bloccato. I nostri respiri, le persone che ci camminavano a fianco.
"Lei... Questa signora..."
"Sei stato tu?" mi voltai e davvero mi accorsi che tutto si era bloccato. Macchine, paesaggi, circostanze...
"Questa signora..." indicava Tae, una persona con i capelli grigi, raccolti in uno chignon, con in mano due buste della spesa, visibilmente affaticata.
"La conosci?"
"Il suo viso mi è familiare ma non ricordo molto...". D'improvviso, come per magia, tutto tornò a muoversi. Così ne approfittai per avvicinarmi alla donna.
"Signora, si faccia aiutare" le porsi la mano, con un sorriso rassicurante. Sperai di non spaventarla.
"L'ho vista in difficoltà, la accompagno a casa se vuole". Mi accorsi che era un po'tentennante.
Cosa potevo fare per rassicurarla?
Mi misi una mano in tasca e per pura fortuna trovai il biglietto dell'assistente sociale. Bingo!
"Io sono un'assistente sociale, guardi qui" glielo mostrai.
"La ringrazio allora, mi servirebbe davvero una mano" disse sollevata. Presi due buste e la seguii. La donna disse che era una vedova e non aveva familiari, abitava sola in una casa vecchia e trasandata.
"Vivere è difficile, se non fosse per quei pochi risparmi che ho da parte..." mi confidò.
"Se mi dà il suo nome, le prometto che cercherò di aiutarla, ma ho bisogno di alcune informazioni". Camminammo lungo un viale alberato, proprio come descritto da Tae. Mi chiesi dove fosse finito, non lo vidi con noi.
"Eccoci, siamo arrivati. Questa è casa mia". In effetti, l'abitazione era un vero disastro.
"Una signora come voi ha bisogno di vivere in un posto sicuro, domani stesso cercherò di trovarle una collocazione"
"Oh... Sarebbe meraviglioso. Ho paura che da un giorno all'altro queste mura mi cadano addosso..." rivelò, aprendo la porta di casa. Entrammo in una cucina piccola e umida. Appoggiai le buste sul tavolo. C'era un piccolo finestrino che affacciava su un piccolo giardino, con una casa abbandonata.
"Mi scusi, ma questa casa è anche sua?" chiesi, indicando oltre la finestra. La donna chiuse il frigo dove stava sistemando la frutta.
"Quella? È disabitata da anni ormai. La famiglia che ci viveva si è trasferita altrove, erano proprio brave persone. Avevano tre figli, carinissimi. Il primo aveva due guanciotte deliziose... Veniva sempre da me per le caramelle, a volte la madre me li affidava quando non c'era..." la sua faccia d'un tratto si scurì, "un giorno però, il bambino stava giocando in cortile con il triciclo, la mamma parlava al telefono. Io ero qui, in questa cucina a preparare la cena. Il bambino pedalò lungo la strada, fino a scendere sulla via e venne investito da un'auto in corsa". I suoi occhi si riempirono di lacrime.
"Se solo mi fossi accorta del pericolo quel giorno, quella strage sarebbe stata evitata..." mi vennero i brividi ascoltando quella storia...
"A volte non possiamo controllare il destino, anche se è dura da accettare" le appoggiai una mano sulla schiena.

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Tornai a casa da sola. Tae non si fece vivo. Temetti si fosse arrabbiato con me. La signora mi aveva dato il suo indirizzo, avevo intenzione di aiutarla trovandole una comoda sistemazione tramite la mia assistente sociale. Avevo un grande mal di testa, presi la cornetta e chiamai la donna che mi aveva portato in quella casa. Le spiegai la situazione e subito si prodigò ad aiutarci. Era una bravissima e amorevole persona. Posai il telefono e urtai leggermente il mobile con le foto. Udii un rumore. Mi abbassai per controllare, qualcosa era caduto dietro. Lo spostai. Trovai una cornice rotta in mille pezzi. Li raccolsi piano, attenta a non tagliarmi. C'era anche una foto. Un bambino su un triciclo arancione. La girai. Sopra c'era scritto:
Il mio piccolo Tae
29/03/97

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