NO! NON POTETE!

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Salgo le scale e sento delle voci nell'appartamento di destra. C'era una donna dai capelli neri accasciato al suolo. La sua voce era smorzata e dentro non si vedeva quasi nulla, solo il nero del fumo. " chiamai l'ambulanza e presi le mie sembianze, tolsi il turbante e strinsi di più il completo con la cintura. Mi caricai la donna sulla spalla. Poggiando i poi sul mio bastone" rimanga con me signora, ci siamo quasi, siamo quasi fuori. Resista" per le scale fu un'impresa da ricordare. Ma uscii e Conor mi raggiunse. "Mamma" disse debolmente. "eh, mi volevi presentare la fidanzata? Magari dopo figliolo, la mamma non è in gran forma" em... Questa donna ha aspirato troppo fumo a parer mio. Sentii le sirene in lontananza. Dietro l'angolo uscirono gli uomini in nero. "ops" dico cercando di escogitare qualcosa. Si avvicinano lentamente, le sciabole sguainate. "indietreggiamo" sibilo. Lui non capisce ma mi segue e piano piano ci ritroviamo con la schiena contro la ringhiera. L'ambulanza stava arrivando.
Mi ma se ci mettono così tanto le persone sono già morte a sto punto eh
Appena gli uomini dall'altra parte della strada si accorgono dell'ambulanza che arrivava si rintanavano silenziosi e sconfitti nell'ombra. Sospiri. "avviciniamoci" "no, è meglio se tua madre faccia meno sforzo possibile, con tutto quel fumo che ha aspirato è meglio non muoverla tanto" La donna chiuse gli occhi.
L'ambulanza arriva e la caricano dentro. "sono suo figlio! Fatemi venire!" ribatté lui appena gli chiusero la porta dell'ambulanza in faccia.
Andremo a piedi. "l'ospedale non è tanto lontano. Ci possiamo andare a piedi" noto e inizio ad avviarmi verso l'ospedale.
"meno male che era vicino!" commentò lui dopo un po "ma è possibile che voi maschi dovete commentare sempre? E sopratutto LAMENTARVI?!" dico ironicamente.
"poi siamo in piano. Se fossimo stati in salita potevo anche capirlo" noto. "ma tu cammini veloce" incrocia le braccia al petto. "perché un passo di voi giganti è l'equivalente di due passi di noi bassi" spiego. "ah già, il nano da giardino!" scherza lui. Ok ora dovrei essere arrabbiata. Ma perché non lo sono e mi limito a sorridere come unebete?! Eh no ehhh
Arriviamo all'ospedale e ci precipitiamo dentro. "Helena Hale" dice alla secretaria che ci guarda dagli occhiali a mezzaluna, il viso paffuto pieno di rughe e un caschetto di un rosso scuro la rendevano un rospo in camice bianco. "camera 12 del secondo piano. Ma la stanno ancora visitando. La preghiamo di aspettare dunque nella sala d'attesa, se vuole del secondo piano" dice tornando a leggere dei moduli. A ogni passo sento crescere la tensione in Conor. Ci sediamo e aspettiamo. Dopo un po appoggiai la testa sulla sua clavicola. "andrà bene vedrai" misi una mano sulla sua lasciata andare sul ginocchio e la scossi un po.
"lo spero" mi cinge le spalle e mi stringe forte a sé. In quel momento mi sentivo protetta, a casa, nel posto giusto al momento giusto.
Chiusi gli occhi.
Dopo un'oretta mi ero già addormentata.
"Hey sveglia, è appena passata un' infermiera" mi accarezzò una guancia con il pollice e aprii debolmente gli occhi sorridendo appena. "cos'ha detto?" alzo gli occhi e li incastro ai suoi. "starà in coma per un po, tempo della macchina di togliere tutti il fumo nei polmoni." "bene, sono felice." guardo l'orologio. "Cacchio sono già le sette!" urlo alzandomi di scatto. Le infermiere mi guardarono male per poi tornare al loro lavoro. "dobbiamo andare, penso siamo già nei guai" dico a denti stretti. " lui annuisce e ci catapultiamo fuori. Dalla scuola dove apro il portale. Lo oltrepassiamo e prendo la biglia da terra. Ci mettiamo a correre ora il cielo si era annuvolato e tirava aria fredda. Entriamo nella vecchia casetta e attraversiamo il bianco corridoio. Piano piano ci incamminiamo verso la sala comune. Piano piano. In punta di piedi saliamo le scale.
"Dove pensiate di andare?" dice una voce squillante dietro di noi. "oh no" ruoti su me stessa tenendo il piede dentro sul gradino in altro. Il sinistro su quello in basso. E alzai le braccia. "Nel mio ufficio" ringhiò, poi, Jack. Ci dirigemmo nel suo ufficio.
Si sedette e poggiò la fronte sulla mano destra, poggiata sulla scrivania.
"Marlene.. Un'altra volta? E ti sei portata dietro lui??" "ah, ecco lei parte dal presupposto che è colpa mia! Certo diamo la colpa a Marlene che tanto è a prescindere colpa sua!" dico lasciando andare le emozioni. Capelli e occhi diventarono rosso fiamma e la pelle pure, solo più rosata. "certo, tanto è sempre colpa di Marlene no? Devo ricordarti di tuo fratello?" dice un voce, nell'ombra. "questo è il giorno buono in cui ti faccio fuori." dico ocn la voce tremante. "Marlene, non mi lasci scelta." dice Jack, come fosse la solita frase ormai abituato a dirla, ed è stanco di ripeterla. "no, ma io.. Io, non è colpa mia" dico cambiando colori. I capelli e gli occhi divennero di colpo Blu scuro. "Sei in isolamento" alza gli occhi, per la prima volta da quando eravamo nell'ufficio "fino al prossimo lunedì" "o-otto giorni?!" lui annuisce. "no, la prego i-io non-non ce la faccio."
Lo prego ancora ma non si decide a cambiare idea. Guardo Conor che non capisce. Ma interviene comunque "Signore, non so cosa intendete per isolamento, ma sono stato io a voler uscire e lei è voluta venire con me, ha detto che non sarei stato in grado di difendermi o di salvare mia madre da solo" spiega Conor "è così? " dice guardandomi male. "si signore" "sette giorni di isolamento. E dammi la chiave di scorta signorina." allunga ma mano e io mi sfilo la collana.
"Ambra portala giù. Mi dispiace Marlene, ma hai superato il limite." "s-signore" balbettai debolmente prima di essere stata trascinata a forza fuori dalla stanza. Non ci sarei finita di nuovo in isolamento, e non così tanto. Le diedi una gomitata sullo zigomo e mi lasciò il braccio. Cercai di scappare ma mi riacciuffò subito. "Sai tu credevo più intelligente, dopo tutto mio padre ti aveva avvertita più volte. Un po te lo meriti" dice non curante la ragazza dagli occhi di saetta.
Mi fa scendere le scale di pietra viva, arriviamo alla fine della scalinata e mi punta un coltello alla gola. "togliti la felpa e le scarpe. così si fa più interessante" dice con un ghigno "appena esco, ti faccio fuori" girò la chiave arrugginita nella toppa . La stanza scavata nella roccia è irregolare e bagnata. Scorsi a sinistra un po di paglia umida che puzzava di muffa. Guardai attraverso le sottili fessure. La mia felpa e le scarpe bruciare nel camino, che poi venne spento e la cenere buttata via. "Buona permanenza camaleonte, lasciaci dormire sta notte eh" la ragazza salì le scale ridacchiando e mi lasciò sola. Al buio e al freddo.
"c'è la posso fare, non è così difficile rimanere sola" mi strinsi nelle spalle e cercai un posticino asciutto dove dormire un po.
"Marlene" qualcuno mi chiamò.
Alzai gli occhi verso la figura bianca di Jasmine. "Marlene, povera fallita. Riuscirai a sopravvivere sette giorni nel completo isolamento? Mha, io non penso" sorride, non lho mai vista sorridere in quel modo, e mi mise anche paura. "chi vorrebbe una ragazza che si caccia sempre nei guai? Nessuno, mi pare logico, come ho fatto a starti vicino così allungo mi domando" "NO! BASTA! NON SEI TU! NON SEI TU, SEI NELLA MIA MENTE," urlo appiccica doni di più alla parete bagnata, una goccia fredda mi solcò la schiena facendomi rabbrividire. "ne sei sicura?" sorride soddisfatta. "No, c'è I-io n-non la-lasciami" balbetto.
"Sei sola, devi farci l'abitudine ormai, non hai più nessuno." e iniziai a urlare istericamente piangendo. Andai a sbattere da per tutto, con un solo pensiero nella mente. "Voglio andarmene"

L'anima PerdutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora