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James

Entrammo nell'ufficio della preside McGranitt. Ci ero stato altre volte, ma questa volta era particolarmente brutta.

La situazione peggiorò ulteriormente quando notai che, appoggiato alla scrivania, c'era mio padre, un'aria tanto confusa quanto arrabbiata.

Cazzo.

«Cosa succede, professoressa?» domandò, scoccandomi un'occhiataccia.

Io gli accennai un sorriso, ma a vedere la sua faccia non sembrava molto contento.

Ellie mi prese la mano. Tremava leggermente, per cui la confortai accarezzandola. Whig sembrava averlo notato e questo non fece che aumentare la mia voglia di baciarla davanti a tutti.

«Tuo figlio è stato coinvolto in una...» la McGranitt ci squadrò da capo a piedi «...Discussione molto accesa.»

«Ehi, è stato Whig ad iniziare!» mi lamentai.

Non avevo tutti i torti, se lui non avesse buttato per terra Ellie non saremmo stati lì.

Lui sbuffò, in tutta risposta: «Tu avresti dovuto tenere le mani lontane da lei e tu...» guardò negli occhi Elizabeth «...Tu sei solo un'approfittatrice e una-»

«Adesso basta!» esclamò la preside, sbattendo le mani sulla scrivania.

Per fortuna, perché stavo per saltargli di nuovo addosso. Doveva smettere di insultare la mia ragazza o ne avrebbe di nuovo pagato le conseguenze.

«Sarà la signorina Bolt a raccontarmi tutta la storia. Non voglio sentire una parola da nessuno di voi due fino alla fine. Dopodiché decideremo un provvedimento adeguato.» ordinò la donna.

Elizabeth

Strinsi più forte la mano di James, cercando disperatamente il suo conforto. Fui grata di vederlo reagire con uno sguardo incoraggiante.

Presi un gran respiro: «Tutto è cominciato al ritorno dalle vacanze. Il rapporto tra me e il signor Potter è... Cambiato. Tutta la squadra era furiosa perché, come penso lei saprà, fino a poco tempo fa c'era una sana rivalità tra noi due. Non che questa non ci sia più, sia chiaro, ma le cose ora sono diverse...»

Stavo cominciando ad impacciarmi. Dovevo cercare di rimanere obbiettiva e, soprattutto, di non dare la colpa a nessuno. Per quanto fossi arrabbiata con Robert non ritenevo giusto che si prendesse tutta la colpa, perché non era tutta sua.

«Il signor Whig è un grande tifoso di quidditch ed era un mio grande amico, per questo non è stato molto contento di sapere la notizia e si è arrabbiato con me. Una cosa tira l'altra e ci troviamo qui, professoressa.»

James borbottò, ma lo sentirono tutti: «Il signor Whig voleva solo scoparsi la mia ragazza, ecco il problema.»

Harry lo guardò ed aprì la bocca per dire qualcosa, ma Robert lo anticipò: «Veramente sei tu, quello che si è scopato la ragazza che avrebbe dovuto stare con me.»

«Lei non ti doveva proprio niente. Non puoi certo obbligarla a stare con te!» esclamò James.

«No, certo, non sono abbastanza ricco e popolare, probabilmente. Ho aspettato cinque anni, lei mi spettava di diritto!»

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Spettargli di diritto? Non ero un calderone antico. Ero una persona! Una persona con sentimenti e capace di prendere decisioni da sola.

«Non ha scelto te, Whig, fattene una-»

«Smettetela!» urlai, zittendoli entrambi e lasciando di stucco anche gli adulti. Ero arrivata al punto massimo di sopportazione: «Non sono un oggetto! Robert, io non spetto di diritto a nessuno, faccio le mie scelte. Tutta questa schifosissima scuola mi tratta come fossi una specie di divinità perfetta, come se non potessi commettere errori, non potessi provare dei sentimenti! Per quanto il quidditch sia importante per me, non è tutta la mia vita! È uno stupido gioco! Esistono cose più importanti. Piantatela di litigare su un gioco e, soprattutto, smettete di litigare per me come se io non avessi diritto di scelta!»

Non lasciai tempo a nessun altro di dire qualcosa, uscendo dalla stanza come un uragano. Avevo bisogno di stare da sola e di sbollire.

Ovviamente andai nell'unico posto in cui mi sentivo al sicuro. Mi se detti sulle tribune del campo di quidditch da sola, rigirandomi la collana che mi aveva dato James tra le mani.

Mi dispiaceva dare di matto in quel modo davanti alla preside e al padre di James, ma non ce la facevo più. Avevo mantenuto la calma e ascoltato per fin troppo tempo.

Non era colpa mia se ero forte a quel gioco. Mi ero sempre allenata duramente perché mi piaceva ed ero competitiva. Ma a quel punto la mia competitività sembrava niente.

Per un secondo desiderai di non aver mai fatto le selezioni, al secondo anno. Desideravo un giratempo, per tornare indietro e non permettere alla me stessa del passato di iniziare a giocare.

Eppure il quidditch era tutta la mia vita. Senza di esso non sarei stata nessuno, non avrei vinto la Coppa. Non avrei incontrato Amar e Marie e tutti i miei compagni di squadra passati. Ma soprattutto James non si sarebbe mai accorto di me.

Scoppiai in lacrime. Le persone mi trattavano come un oggetto perché lo ero. Non ero altro che lo strumento per realizzare i loro sogni di gloria. Probabilmente era lo stesso motivo per cui mia madre mi voleva ancora.

Da sola non ero niente.

«Ehi, va tutto bene?» James si sedette accanto a me, accarezzandomi la schiena.

Scossi la testa. Non sono niente.

Non mi ero nemmeno accorta di averlo detto ad alta voce, ma James sgranò gli occhi e si inginocchiò di fronte a me, prendendomi le mani.

«Non dirlo più. Credi che mi sarei fatto prendere a pugni in faccia per niente? Che ti avrei regalato quella collana se fossi stata niente?» mi baciò «Farei questo, se fossi niente?»

«Tu stai con me solo perché sono in Nazionale...» piansi.

Lui mi prese il viso tra le mani, guardandomi dritto negli occhi: «Io sto con te perché sei bellissima, intelligente e buona. Che tu giochi a quidditch o a gobbiglie. Tutti quanti qui ti ammirano, darebbero qualsiasi cosa per essere come te. Tu sei il mio punto di riferimento. Non hai niente alle spalle, ti sei costruita tutto da sola ed è una cosa che non capirò mai, con questo cognome. Ti meriti tutto quello che hai e chi dice il contrario dovrà vedersela con me.»

Sorrisi: «Non mi merito te, James.»

Lui mi abbracciò, stringendomi forte. Mi sentivo al sicuro tra le sue braccia e per un secondo dimenticai tutto il resto.

«Potrei dire la stessa cosa.» sussurrò tra i miei capelli.

Quando finalmente riuscii a calmarmi ci sedemmo entrambi sulla tribuna, il braccio di James attorno alla mia spalla, come per tenermi al sicuro.

«Cosa ti ha detto la McGranitt?» gli chiesi.

Lui ridacchiò: «Ci ha fatto il culo, bla bla. Come punizione dovrò aiutare mio padre nelle sue lezioni per il resto dell'anno, per fortuna non lo invitano a Storia della Magia. Ne è valsa la pena.»

Lo osservai. Aveva ancora il naso e un occhio nero, ma i taglietti avevano smesso di sanguinare. Inevitabilmente mi venne in mente Robert.

«E Robert?»

Lui rise di nuovo: «A Whig è andata peggio. La preside lo affiderà a Gazza... In più è obbligato a giocare domenica!»

«Cosa?» esclamai. Di solito ero io a scegliere la formazione.

Lui si strinse nelle spalle: «È obbligato. Dovrò dire a Roxy e Fred di tenerlo d'occhio, prima che tenti di staccarmi la testa con un Bolide...»

«Non morire James, non prima di avermi vista vincere la Coppa di Quidditch!»

«La prenderò come una dimostrazione d'affetto...»

A/N:
Ciao amici! Scusate l'inattività, ho avuto qualche problema con l'organizzazione di questo capitolo. In ogni caso, we made it! (E anche lunghetto aggiungerei.) Stiamo davvero per arrivare alla fine e mi sembra incredibile che poco più di un mese fa pubblicavo il primo capitolo. Stanno per succedere ancora alcune cose, poi l'avventura di James ed Elizabeth terminerà! (Definitivamente?)
Au revoir!

Rivalry - James Sirius PotterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora