L'incubo di Sanji

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Sanji s'irrigidì. Smise di colpo di prendere a calci il vetro. Si girò lentamente e si trovò faccia a faccia con Zeff.

Il suo vecchio capocuoco. L'uomo che gli aveva salvato la vita. La cosa più simile a un padre che avesse mai avuto.

Benché Sanji fosse del tutto consapevole che né Nojiko né Kaya erano davvero lì, non dubitò nemmeno per un istante che invece lo fosse Zeff. E provò un'ondata di sollievo indescrivibile, che crollò rovinosamente quando Zeff gli tirò un pugno.

Sanji ne aveva prese tante, da piccolo. Ceffoni, lanci di oggetti, scrollate, strattoni alle orecchie. Tuttavia, il modo in cui le prendeva prima di Zeff non aveva nulla a che fare con il modo in cui le prendeva da Zeff. Quest'ultimo l'aveva colpito col mestolo di legno e a volte anche con la gamba di legno, ma a Sanji era sempre stata perfettamente chiara la differenza tra uno scapaccione e un colpo sferrato con cattiveria, con l'intenzione di far male sul serio.

Zeff non l'aveva mai colpito in quel modo. Mai.

La sorpresa, più che il dolore o la fame, rese Sanji incapace di reagire. Cadde a terra con un grido di stupore, chi fu troncato all'urto col terreno. Si puntellò sulle mani, fissando Zeff incredulo, di sotto in su. La sua mente non riuscì a pensare ad altro che all'assurdità del fatto che Zeff indossasse il cappello da chef esageratamente lungo e il suo grembiule macchiato di sugo. Era talmente sbigottito che non sentiva quasi il dolore alla mascella e al labbro.

-Zeff! – balbettò. – Cosa...

Oh, piantala, Sanji, non è Zeff, Zeff non ti farebbe mai del male, lui non è come... Non è come...

Zeff si chinò e gli afferrò una mano. Sanji fece resistenza, ma Zeff gli sferrò un calcio nel fianco che lo lasciò senza fiato. Mentre cercava di respirare, la sua mente sbandò e un ricordo del tutto incongruo gli si affacciò alla memoria. Aveva dieci anni, era chino su un lavandino e Zeff, dietro di lui con le maniche arrotolate fino ai gomiti, gli sfregava con forza una spugna dietro le orecchie, dicendo: - Ma come diavolo ci è finita qui la farina, moccioso?

E poi un altro ricordo sostituì il primo, il ricordo di un'altra mano adulta, che gli stringeva i capelli, tirandogli indietro la testa, facendogli male...

Zeff gli spinse il braccio contro il terreno. Premette un ginocchio sopra il suo gomito, gli immobilizzò il polso e, con la mano libera, afferrò un sasso. Uno bello grande. Pesante. Lo appoggiò sulla mano di Sanji.

Lui sentì il cuore salirgli in gola. -No! – urlò, cercando di liberarsi senza farsi uscire la spalla. – No! Ti prego! No! La mano no! Sono un cuoco! Mi serve! Mi serve!

-Sai che non dovresti essere qui, moccioso – ripeté Zeff, e aumentò la pressione sul sasso.

Sanji sentì un dolore acuto irradiarsi dalle dita, su per il braccio, e lanciò un grido di paura. La sua confusione crebbe: l'espressione di Zeff lo spaventava. Era vacua come quella di un dipinto. Inoltre, non guardava lui. Guardava un punto imprecisato vicino alla sua testa. Come...

- Lo so, che non dovrei essere qui! – urlò.

- Non mi stai ascoltando, moccioso. Intendo che non dovresti essere qui. Tu non vuoi aiutare Usopp. Vuoi aiutare Nami. Cosa ci fai, qui?

-Come... Perché...? - Sanji non capiva di cosa stesse parlando. Era del tutto senza senso.

Non rispose e il dolore aumentò. Divenne accecante, insopportabile. Sanji non riusciva a pensare.

– Devo aiutare Usopp – gridò. – È mio amico!

- E Nami, allora?

- Non so che cosa...

- E Nami, allora, adesso che devi scegliere? Non l'hai detto, una volta, che avresti volentieri messo in pericolo la vita di Usopp per salvare quella di Nami? E ora che devi farlo veramente?

A Sanji parve che gli organi interni gli si liquefacessero. Sentì il sangue salirgli alla testa. - Non puoi farmi questo! – gridò, terrorizzato.

- Chi butti dalla torre, moccioso? Nami o Usopp?

Lampi bianchi sbocciavano e saettavano davanti agli occhi di Sanji. - Non posso...

- Scegli.

Sanji intuiva dove voleva portarlo Zeff, e sapeva che, prima o poi, ci sarebbe arrivato. Il senso di colpa si mescolò al terrore, alla sensazione di fame che lo stava facendo impazzire, e alla rabbia. - No!

- Cos'hai detto, moccioso?

- Ho detto di no, vecchio decrepito! Tu non sei davvero qui. Non sei reale. Zeff non mi farebbe mai una cosa del genere. È impossibile!

Zeff gli lasciò il polso per tirargli uno schiaffo, che gli voltò la testa dall'altra parte. – Questo era abbastanza reale, invece? Adesso scegli. Puoi salvarne uno, se lasci morire l'altro. Scegli!

- No, ti prego, ti prego, smettila...

- Chi butti dalla torre, moccioso?

Sanji, disperato, sbatté la testa contro il terreno, coi capelli che gli spiovevano sulla faccia, ululando come un animale, lo stomaco sempre più dolorante. – Non posso scegliere!

-Devi farlo, o moriranno tutti e due. Chi butti dalla torre?

Sanji ormai piangeva. Scosse freneticamente la testa. Non poteva. Non poteva. Qualcuno stava urlando. Sanji pensò che fosse Usopp, prima di ricordarsi che non poteva sentirlo. Si rese conto che era lui a urlare, strilli e gemiti di angoscia primordiale.

La voce di Zeff pareva venire da un punto lontano. Il suo tono era disinvolto in modo terrificante. - Qualcuno sta arrivando per Usopp. Lo ucciderà. Se scegli lui, disattiverò la barriera. Potrai salvarlo, ma Nami morirà. Se scegli Nami, ti lascio andare a salvarla, e a morire sarà Usopp. Il tempo stringe, moccioso... Chi salvi?

- Lasciami stare! – strillò Sanji.

- Non parlarmi così, moccioso.

Il dolore aumentò ancora. Sanji si dimenò con tutte le sue forze, inutilmente. Lottò disperatamente contro il panico che stava per sopraffarlo del tutto. Gli veniva da vomitare, anche se il suo stomaco era così vuoto. 

Per un attimo gli si oscurò la vista e pregò di svenire. Era l'unico modo di sottrarsi alla scelta e di non sentire più quella fame terribile. Ma rimase cosciente, anche se il dolore alla mano, intollerabile, gli dava tali vertigini da fargli credere che stesse cadendo in un abisso senza fondo, e forse era davvero così.

Sanji lottò e resistette più a lungo di quanto avrebbe creduto possibile. Ma poi iniziò a sentire le ossa della mano scricchiolare. E allora crollò.

-Nami – urlò. – Nami! Scelgo Nami! Lasciami andare da lei. Lasciami andare a salvarla!

- Quindi lasci morire Usopp?

- Sì... Sì! Ma lasciami andare da Nami. Lasciami andare!

Il peso di Zeff sul braccio di Sanji sparì di colpo, ma non il dolore alla mano. Sanji non riusciva a pensare ad altro che a quel dolore, alla propria fame e a Nami. Si alzò lentamente e si voltò verso Usopp.

Lui lo guardava, terrorizzato, come se non capisse perché Sanji avesse quell'espressione devastata. Sanji fece un passo indietro. Usopp capì. Batté disperatamente le mani contro la parete, implorandolo di non lasciarlo lì da solo; ma presto dovette udire qualcosa alle proprie spalle, perché girò la testa di scatto. Non doverlo guardare in faccia avrebbe reso le cose più facili, se solo Sanji non avesse continuato a sentire nelle orecchie le parole di Zeff.

Qualcuno sta arrivando per Usopp. Lo ucciderà.

Sanji arretrò ancora. Esitò. Poi pensò: Se sono ancora qui quando Usopp si gira di nuovo, sarò costretto a vedere la sua espressione mentre lo abbandono. Allora si voltò e corse nella direzione in cui era venuto.

Quando Usopp si girò di nuovo, Sanji non c'era più.

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