Quando si svegliò, Oharu provò una terribile confusione. Per un attimo pensò di essere ancora a bordo della Sapphos e che i ricordi confusi delle ultime ore fossero stati solo un incubo.
Però non era sul suo materassino ammuffito: quello sembrava un letto vero. Con un cuscino e delle coperte. E, lì vicino, dei vestiti puliti. Oharu li guardò sospettosa. Da dove venivano? Dalla bambina che avevano rapito prima di lei?
Si guardò intorno. C'era una porta. L'aprì con cautela, come se qualcuno dovesse saltare fuori e aggredirla, e trovò il bagno. Si lanciò un'occhiata alle spalle. Non c'era niente di male se si dava una ripulita, giusto?
Chiuse la porta bene a chiave. Controllò la posizione della finestra, nel caso quelli fossero riusciti ad aprire e lei avesse dovuto fuggire, foss'anche a nuoto. Poi aprì l'acqua. Mentre la vasca da bagno si riempiva, si tolse i suoi vecchi vestiti, ridotti ormai a brandelli e rigidi per la salsedine, ed entrò nella vasca.
Si sfregò con energia, come se le ultime settimane le si fossero incrostate sulla pelle, e osservò l'acqua diventare grigiastra. Si lavò anche i capelli. Poi si asciugò e indossò i vestiti puliti. C'era anche un paio di scarpe di cuoio morbido. Oharu provò a metterle, ma non era abituata. Era troppo strano, così le tolse, le ripose con cura in un angolo, e tolse il tappo dallo scarico per lasciar defluire l'acqua.
Riaprì la porta e scrutò con attenzione la stanza. Non era entrato nessuno, ogni cosa era come l'aveva lasciata. Uscì e si guardò intorno, cosa che, al risveglio, era stata troppo confusa per fare.
Lei si era alzata da una brandina in un angolo, che aveva l'aria di essere stata sistemata lì per l'occasione; c'era un letto matrimoniale e Oharu pensò che appartenesse alla ragazza con i capelli rossi e al biondo.
Poi si chiese perché avesse pensato una cosa del genere. Non li aveva visti guardarsi, non si erano mai toccati. Eppure lei aveva come percepito qualcosa... Che strano. Comunque non erano fatti suoi e nemmeno importava.
A un'occhiata più scrupolosa, decise che la stanza doveva appartenere alle due donne, la rossa e quella con troppe mani. Non c'era abbastanza spazio per due letti, nella cabina. C'erano già un armadio e uno scrittoio. L'armadio era semivuoto e lo scrittoio del tutto sgombro. Non c'era nulla in quella cabina.
Possibile che questi pirati viaggiassero senza effetti personali? O li avevano persi per qualche motivo? Li avevano persi tutti quanti? Oharu pensò alle proprie cose nella sua casa, le cose che non avrebbe visto mai più, e provò un fiotto di empatia.
Lo scacciò immediatamente. Non doveva simpatizzare con i suoi aguzzini. Sua madre diceva sempre che Oharu tendeva a provare compassione a sproposito ed era capace di vedere del buono davvero in chiunque.
Quando Oharu aveva iniziato a frequentare il dojo di Eros, i tre allievi più anziani le avevano dichiarato guerra. Un anno di angherie, stoicamente sopportate da Oharu, era deflagrato qualche mese prima, quando Oharu aveva detto loro che erano dei codardi e che li avrebbe affrontati uno per volta.
Dopo un epico scontro con il più mingherlino del trio, in cui Oharu aveva sferrato sei colpi, mancando il bersaglio quattro volte, lei era riuscita a metterlo sotto e a tenerlo schiacciato a terra mentre il secondo la prendeva a calci, illudendosi di farle mollare la presa. Il terzo, rendendosi conto che Oharu era lucidamente disposta a strangolare il suo amico, aveva chiamato Eros, che era arrivato e, tra sberle e bestemmie, li aveva separati.
Il giorno dopo, Oharu si era ripresentata dai codardi e, con grande sicurezza, aveva detto che secondo lei, ora che aveva dimostrato di essere degna di frequentare il dojo, potevano diventare amici.
Lei capiva perché se l'erano presa con lei, aveva detto. Anche lei si sarebbe arrabbiata se Eros avesse accettato nel dojo il primo sfaccendato in cerca di un passatempo pur che fosse, quando loro altri dovevano sudarsi la propria posizione. Ma lei non era di quelli.
La prima volta che aveva preso in mano una spada, aveva sentito un'emozione violenta, grezza, incontrollata gonfiarle il petto. Era stato come se per i primi dieci anni della sua vita le fosse mancato un pezzo e adesso finalmente quel pezzo fosse andato al suo posto. Gioia pura. Era la stessa cosa che provavano quei tre, lo sapeva. Il giorno dopo erano amici.
Sua madre diceva che era brava a capire le persone. Suo nonno, invece, diceva che era una stupida senza istinto di autoconservazione e che il mondo l'avrebbe masticata e sputata via. Nell'eventualità che avesse ragione il nonno, Oharu si sedette sul letto e si guardò intorno in cerca di un'arma. Non si fidava. Forse era stato gentile da parte loro darle un letto, dei vestiti e del sapone, ma erano sempre pirati. Perché avrebbero dovuto essere diversi da Norris?
Quando la porta si aprì, sulla soglia c'era il biondo con la sigaretta. Non indossava più la giacca nera, ma una maglietta blu con la scritta Gentlecook. Oharu non aveva ancora trovato niente per difendersi, perciò si limitò a premere la schiena contro il muro e a irrigidirsi, pronta a lottare con tutte le sue forze se il ragazzo sulla soglia avesse cercato di toccarla.
Ma lui non fece nulla del genere. – Ciao – disse, tranquillamente.
Tra le mani aveva un vassoio con su una scodella fumante che emanava un profumo irresistibile. Una zaffata colpì Oharu e lei sentì lo stomaco che le si spalancava.
Il ragazzo fece un passo verso di lei, ma Oharu disse: - No.
Lui posò il vassoio a terra, alzò le mani come a mostrarle che erano vuote, poi spinse il cibo lungo il pavimento. Oharu lo scrutò. C'era una zuppa, un tozzo di pane, un bicchiere d'acqua e una mela. Poi guardò il ragazzo in tralice.
-Puoi mangiare – disse lui. – Giuro che non ho avvelenato niente. Sono un cuoco, non lo farei mai. Perché sei così spaventata? Nessuno qui vuole farti del male.
- Siete pirati – disse Oharu.
- E allora?
Se non lo sapeva lui, non sarebbe certo stata Oharu a spiegarglielo.
Il ragazzo le chiese in tono ragionevole: - Non pensi che, se ti avessimo voluto morta, ti avremmo lasciato in mare?
-Neanche loro mi hanno ucciso. Ma mi hanno comunque... mi hanno...
Un lampo di consapevolezza passò negli occhi del ragazzo. – Chi?
- Gli altri pirati.
- Oh – disse lui. – Ho capito. Senti, so com'è la maggior parte dei pirati. Ma ti giuro che noi non siamo così.
-Non ci credo.
Il ragazzo alzò le spalle. – Be', ci dovrai credere, temo. Perché siamo in mare aperto e il prossimo approdo è a una settimana di navigazione. Perciò, a meno che tu non voglia passare qui tutta sola la prossima settimana, potresti considerare la nostra compagnia come alternativa a buttarti in mare.
Oharu non rispose.
-Come ti chiami?
Silenzio.
-Io sono Sanji.
Oharu continuò a fissarlo.
Sanji sospirò. – Senti, devo mandarti qui Chopper, il nostro medico. La... ehm... La renna.
-La renna?
Sanji ridacchiò. – L'orsetto lavatore.
- Quello che si è trasformato in un mostro? – disse Oharu inorridita.
- È innocuo. La maggior parte delle volte.
- Cosa vuol dire?
- Niente, niente, non c'è nulla di cui aver paura, d'accordo? Adesso viene Chopper e ti dà un'occhiata. Poi anche il nostro capitano vuole parlare con te. Va bene?
Oharu annuì. Aveva scelta?
-Benissimo – disse Sanji in tono gentile. – Ascoltami, non so se non vuoi toccare cibo perché hai paura che stiamo cercando di drogarti o per orgoglio, ma ti do un consiglio spassionato: mangia. Sembri mezza morta di fame. Io so cosa vuol dire -. Poi uscì, lasciando semiaperta la porta alle sue spalle, in modo che Oharu non si sentisse in trappola.

STAI LEGGENDO
La saga di Oharu
Hayran KurguPrimo romanzo della Saga del Grande Blu. Oharu ha undici anni e vive sull'isola di Ika Roa. Un giorno, il suo mondo viene sconvolto dall'arrivo di una ciurma di pirati, che mette a ferro e fuoco il suo villaggio e la rapisce. Per Oharu, intrappolat...