Le mani di Robin, le braccia di Rubber e Zoro erano dappertutto sulla nave, pronti a tirare su l'ancora, issare le vele e lanciare il brigantino in una fuga precipitosa prima ancora che l'ultimo membro dell'equipaggio fosse del tutto salito a bordo.
Non credettero ai loro occhi quando li videro arrivare in tutta tranquillità, anche se Frankie e Usopp erano in piedi, con le armi spianate. C'era un cinquanta per cento di possibilità che fossero vittime di una trappola molto sofisticata, ma nessuno li inseguì, nessuno li assalì mentre salivano a bordo, e nessuno cercò di fermarli mentre se ne andavano.
Non chiesero a Oharu cosa fosse successo: lo sapevano già, anche se non conoscevano i dettagli. Erano molto più preoccupati del fatto che li avessero lasciati andare. Si scervellarono su chi potesse aver dato quell'ordine e perché, ma non c'era nessuna spiegazione logica, nessun senso.
Oharu, a testa bassa, li ascoltò arrovellarsi per qualche minuto, poi li interruppe per dire: - Mi dispiace.
La guardarono.
- Di cosa? – chiese Robin.
- Vi ho messo in pericolo ed è stato tutto inutile. Poteva rimanerci qualcuno di voi per colpa mia. Avrei dovuto ascoltarvi. Mi dispiace.
Continuarono a guardarla. Oharu alzò lo sguardo, cercando di interpretare le loro espressioni. Rimase di stucco quando scoppiarono a ridere.
- Oh, Oharu, non sei la prima e non sarai l'ultima di noi a mettere in pericolo tutti gli altri – sghignazzò Rubber. – Nami ha rubato la Going Merry e ha abbandonato me, Zoro, Usopp e Sanji in mare aperto. Usopp si è fatto derubare di tutti i nostri soldi a Water Seven e poi mi si è pure ammutinato contro. Per non parlare di quello che abbiamo rischiato per portare via Robin da Enies Lobby! Credimi, Oharu, nessuno di noi ce l'ha con te.
- Davvero? – chiese Oharu sollevata.
- Ma certo – rispose Frankie. – Adesso dovresti riposare. Sembri esausta.
Oharu lo era. Annuì e scese sottocoperta.
Aveva freddo. Entrò nella cabina delle ragazze e si sedette sulla sua branda, appoggiando la schiena alla parte. Fissò il muro davanti a sé. Poi, all'improvviso, ogni cosa che era successa dall'arrivo della Sapphos a Ika Roa fino a quel momento – l'incendio dell'isola, la morte di suo padre davanti ai suoi occhi, ogni angheria, sevizia e maltrattamento subito dai pirati di Norris, la certezza che fossero morti anche tutti gli altri, le macerie fumanti al posto della sua casa – le crollò addosso, tutto insieme in un colpo solo. Qualcosa dentro di lei andò in mille pezzi. Oharu si ficcò in bocca il bavero della maglietta per smorzare il rumore e scoppiò a piangere.
Per tutto quel tempo, era riuscita a tenere insieme i pezzi perché era stata troppo occupata a pensare ad altro. Durante il saccheggio a Ika Roa, pensava a sopravvivere. Sulla Sapphos, pensava a scappare. Sulla Thousand Sunny, aveva pensato prima a tornare a Ika Roa e poi a trovare la base della Marina più vicina. Ma adesso non c'era più niente cui pensare, niente cui tenersi.
Per tutta la vita, Oharu era stata fermamente convinta, perché così le avevano insegnato, che il mondo fosse diviso di netto fra buoni e cattivi. I cattivi commettevano il male, ma i buoni vi ponevano rimedio. I buoni per eccellenza erano gli uomini come i Marines, che proteggevano chi non poteva difendersi da solo e, se non ci riuscivano, trovavano i cattivi e li punivano.
I cattivi avevano commesso il male, avevano fatto del male alla sua gente, a lei, e i buoni non li avevano protetti, né la punizione era arrivata. Gli unici che l'avevano aiutata erano dei pirati. Una categoria di fuorilegge nota per rubare e uccidere.
I buoni non ci avevano neanche provato, perché Ika Roa non era abbastanza importante, Oharu non era abbastanza importante. Non c'era giustizia, non c'era equilibrio, e nessuno poteva farci niente, tantomeno lei. Nemmeno gli adulti potevano farci niente.
La delusione riguardo al potere degli adulti! Oharu era stupefatta e orripilata. Credeva che gli adulti rimettessero sempre le cose a posto. Non sapeva come, non sapeva perché, sapeva solo che ci riuscivano e basta e che avevano il dovere di farlo.
Ma questa volta non era contato nulla che Aokiji fosse un adulto. Non importava quanto fosse alto il suo rango: se non poteva aiutare Oharu, per lei non aveva più nessuna autorevolezza. E il fatto che i pirati di Cappello di Paglia fossero più vecchi di lei, di per sé, non le avrebbe garantito di rimanere al sicuro dal male. Per quanto incredibile, per quanto impensabile, non c'era nessuno a proteggerla davvero. Aveva perso tutto e non c'era nessuno che potesse ridarglielo.
Oharu piangeva, tremava e cercava d'inalare aria, raggomitolata contro il muro, rischiando di strozzarsi nel tentativo di soffocare i singhiozzi che le salivano su per la gola. Perse la cognizione del tempo.
Da coperta, qualcuno la chiamava, ma lei non rispose. Le pulsavano le tempie e aveva la nausea. Pensò che avrebbe vomitato, ma non successe. All'improvviso, percepì che c'era qualcuno a un metro e mezzo da lei. Oharu alzò di scatto la testa. Era Zoro. La guardava in modo strano.
Oharu non era pronta. Cercò di darsi un contegno, ma non riusciva a smettere di piangere. Zoro esitò e per un attimo sembrò sul punto di scappare via, ma non lo fece. Invece si avvicinò e si sedette accanto a Oharu.
Non la toccò. Non disse nulla. Non la guardò neanche. Era evidente che si sentiva in dovere di fare qualcosa, ma non aveva assolutamente idea di cosa. Per un po', non fece nulla e basta. Era rigido, a disagio, spaventato, quasi. Dopo qualche attimo, si sedette accanto a lei e le posò una mano sulla schiena.
Fu un gesto cauto,impacciato. Ma Oharu apprezzò.
STAI LEGGENDO
La saga di Oharu
FanfictionPrimo romanzo della Saga del Grande Blu. Oharu ha undici anni e vive sull'isola di Ika Roa. Un giorno, il suo mondo viene sconvolto dall'arrivo di una ciurma di pirati, che mette a ferro e fuoco il suo villaggio e la rapisce. Per Oharu, intrappolat...