Ritorno a Ika Roa

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La Mini Merry era un vaporetto a quattro posti custodito in una specie di hangar che Frankie aveva costruito nel ponte più basso. Era una versione mignon della Going Merry, costruita per far felice Usopp (e farsi perdonare di averlo quasi ucciso a pugni). 

Alla fine, Robin e Oharu raggiunsero veramente Ika Roa sulla Mini Merry, mentre la Thousand Sunny li aspettava al largo. Oharu guidò Robin verso il porto, mentre Zoro, in mezzo ai due sedili posteriori, stava immobile e in perfetto silenzio, con aria cupa.

Rubber gli aveva ordinato di scortarle. Zoro aveva detto che Robin era benissimo in grado di proteggere se stessa e la bambina (non la chiamava mai per nome, le rare volte che era costretto a parlare di lei) e non era parso sentire quando Oharu l'aveva informato, rivolgendogli la parola per la prima volta, che non aveva bisogno di essere protetta.

-Vai con loro, Zoro – aveva detto Rubber – oppure ci mando Usopp, così Robin dovrà difendere tre persone invece che due.

-Grazie, Rubber – disse Usopp. Aveva consegnato a Robin un pesante moschetto dall'aria complicata, con una canna molto larga. – To'. Portati questo.

Un intero locale sottocoperta era stato adibito a laboratorio di Usopp e, da quando avevano lasciato Water Seven, la sua creatività aveva avuto modo di esprimersi in una serie di invenzioni altamente instabili e potenzialmente letali.

- Grazie, ma non mi serve – aveva risposto Robin.

- Lo so, che non ti serve. Serve a me che qualcuno lo testi. Usalo in caso di pericolo e poi fammi sapere.

Quando aggirarono il promontorio dietro al quale avrebbe dovuto esserci il porto, scoprirono che quello non c'era più. C'era solo una devastazione di pietra e legno, ma Oharu si rifiutò di considerarlo un segnale. Poteva essere un caso. Non voleva dire che tutta l'isola fosse nelle stesse condizioni. Quello che la disturbava, in realtà, era il silenzio. Niente uccelli, niente cani, niente di niente. Si morse il labbro, ansiosa.

Tirarono il vaporetto in secca, risalirono il litorale e raggiunsero il villaggio. Per un attimo, Oharu non capì cosa stesse vedendo. Perché non c'era niente da vedere. Il villaggio non esisteva più.

Un attimo dopo, senza sapere come, le sue ginocchia e le sue mani erano per terra. Sentì le dita preoccupate di Robin sulla schiena.

- Torniamo indietro – disse piano Zoro.

- No. Sto bene -. Oharu si alzò. Fece un passo. Poi un altro. Si addentrò tra le rovine, seguita da Robin e Zoro. Sentiva il loro sguardo attento su di sé.

Passarono in mezzo a cumuli di cenere. Oharu andava a memoria, perché non si vedeva più una strada da seguire. Urtò qualcosa col piede e sussultò: era un teschio. Robin la trascinò via in fretta, mentre Oharu lo fissava chiedendosi chi fosse.

S'imbatterono in altri resti, alcuni completamente inceneriti, altri ancora integri, quelli di chi era morto intossicato dal fumo. C'era un incendio in lontananza. La piazza del mercato era orlata da montagnole di macerie dove un tempo c'erano le botteghe. Non c'era nessuno. Ma come poteva essere? Non era possibile che fossero morti tutti.

Oharu guidò i due pirati su per un pendio, fino a raggiungere la collinetta su cui, un tempo, c'era la sua casa. Trovò solo detriti, macerie e lo scheletro nero dell'edificio, ancora in piedi benché sventrato.

-Oharu – iniziò Robin.

Oharu fissò la desolazione davanti a lei, senza fiato, con la mente completamente vuota. Poi, qualcosa dentro di lei si ruppe.

-No! – gridò. – Mia madre... Mio nonno... I miei fratelli...-. Sapeva di suonare come una bambina spaventata, ma non le importava.

- Sono morti – grugnì Zoro.

- No! Devono essere dentro. Devono essere vivi. Dobbiamo portarli fuori. Per favore... Aiutatemi.

- Come fanno a essere vivi? Dobbiamo andarcene, adesso. Potremmo non essere soli.

Oharu si alzò, ma entrò dritta nella casa. Sentì Robin chiamarla, però non si girò nemmeno.

C'era ancora un vago odore di legno bruciato. Un odore che a Oharu era sempre piaciuto, ma che in quel momento le fece venire da vomitare. L'erba, completamente sostituita da polvere e cenere intorno alla casa, aveva iniziato a crescere all'interno.

Il pavimento scricchiolò sotto i passi di Oharu, ma lei non lo sentì, assordata com'era dal battito del proprio cuore. Le porte erano scardinate e incenerite. Tutto era buio, tranne per la debole luce che veniva dalle finestre rotte. Non c'era più niente.

Oharu intuì vagamente che anche Robin e Zoro erano entrati.

Zoro si guardò intorno. - Forza, vieni via da lì.

Oharu lo ignorò e iniziò a vagare per le stanze. I quadri erano caduti a terra, il pavimento era coperto di schegge di vetro. In cucina sembrava fosse esplosa una bomba. La sala era irriconoscibile.

Tutto era grigio e nero, a partire dai muri. In alcuni punti, il soffitto era aperto sul cielo. Aveva piovuto dentro e la muffa prosperava. Sul pavimento c'erano oggetti contorti di metallo, che Oharu non avrebbe saputo dire cosa fossero.

- Ragazzina, ascoltami – insisté Zoro. – Vieni fuori.

- No – sussurrò Oharu. – Devo controllare. Mia madre. I miei fratelli...

- Oharu, per favore – la implorò Robin.

Oharu salì le scale ed entrò nella camera di suo nonno. I due pirati rimasero giù.

Sul letto era crollato mezzo soffitto. Dalle tegole spuntava un braccio. Oharu lo fissò, in trance. Aveva trovato il nonno. Forse sua madre aveva rinunciato al tentativo di trascinarlo via ed era scappata per portare in salvo i figli più piccoli. Ma lei non li avrebbe trovati. La sua famiglia non esisteva più.

Oharu rimase immobile finché, al piano di sotto, non sentì Robin urlare. 

La saga di OharuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora