22: Un Bel Pasticcio.

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Max

Scendo le scale il più velocemente possibile e mi tuffo in cucina. Qui trovo Malia e Dave a parlottare, fin troppo vicini per i miei gusti, ma non ho tempo per riprenderli.
Mi guardo intorno ma di lei neanche l'ombra. Dave mi nota e dà una sua occhiata di fuoco capisco cosa è successo.

Corro come un matto sulla neve rischiando di scivolare diverse volte. La cerco per tutto il paese maledicendomi ad ogni passo che faccio.

Quale cretino al mondo si dimentica della propria ragazza?! Sarei dovuto andarla a prendere in stazione questa mattina e invece non ho messo la stupida, stupida, stupidissima sveglia e sono rimasto a dormire. Menomale che è andato Dave, ma... mannaggia a me. Sarei dovuto correrle incontro in stazione! Come se non avessimo già abbastanza problemi...

La stazione...

La stazione!

Attraverso il paese di corsa, evitando i signori a passeggio e stando attento ai bambini che fanno la battaglia con le palle di neve.

Arrivo affannato all'unico binario del paese. Non c'è nessuno.

Non posso essere in ritardo.

Mi guardo intorno, vedo solo le panchine spoglie, mentre il vento mi fischia nelle orecchie. Mi tolgo il cappello di lana e lascio i capelli entrare in contatto con la neve che cade. Tiro fuori il cellulare per chiamarla quando il fischio del treno in arrivo mi fa sobbalzare dallo spavento.

Questo mi sfreccia accanto rallentando lentamente fino a fermarsi. Mi volto di scatto e noto una ragazza col cappotto e il cappello bianco, sembra essersi smaterializzata, ha il passo lento e la testa bassa.

Mi avvicino a lei, mentre si avvia alle scalette che la condurranno all'interno del vagone e corro gli ultimi passi quando la vedo mettere piede su di esse.

La afferro per un polso, facendola girare di scatto.
«Cam» dico piano guardandola negli  occhi rossi di pianto. Con uno strattone si libera dalla presa e mi lancia un'occhiataccia salendo il secondo gradino.

Sto per parlare quando il fischio del treno porta via la mia voce. Possibile che stia già ripartendo? Effettivamente qui non c'è nessuno, a parte lei, a salire.

Devo agire. Fare qualcosa. In fretta.

La afferro per i fianchi, si divincola ma la mia presa è più forte. La porto sulle mie braccia a mo' di sposa per poi trasportarla giù dai gradini e dietro la linea gialla.

«Lasciami andare!» urla saltando giù dalle mie braccia e rivolgendosi verso il treno che ormai è partito.

Soffoca un urlo e mi colpisce sullo stomaco, non mi ha fatto male ma indietreggio prevedendo i colpi successivi. Mi dà dei piccoli pugni sul petto finché non si stanca ed indietreggia indicandomi.

«Sei uno stro... Mmm, Souza non farmi essere maleducata!» dice stringendo i denti «Ora devo aspettare il prossimo! Quand'è il prossimo?»

«Non aspetterai il prossimo, Camilla» rispondo mantenendo la calma, non la chiamo mai col suo nome intero, per questo mi indica minacciosa, o almeno ci prova, per poi allontanarsi a grandi passi  verso il chioschetto dei biglietti.

«Buongiorno, scusi, vorrei sapere quando passa il prossimo treno» chiede velocemente ma con delicatezza ad un signore sui settanta dai capelli e la barba bianca, le rughe decorano il suo viso sorridente, da quando ero piccolo c'è sempre stato lui al chiosco dei biglietti ed è sempre stato uguale ad ora.

«Per dove signorina?» chiede con una voce gracchiante mentre ripiega il giornale che stava leggendo.

«Non importa. Per qualsiasi parte, basta che sia lontana da qui» risponde secca guardandosi intorno.

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