3: Cerco di evitare Max.

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«Sono tornata!» esclamo posando le chiavi sul mobiletto accanto alla porta.

Come sempre non ricevo risposta, sospiro arresa ed alzo lo sguardo davanti a me.

La porta dà direttamente sulla sala, a separare questa dall'ingresso vi è solo un piccolo muretto di pietra, sopra il quale sono poste alcune foto di famiglia.

Max e Dave sono seduti sul divano e troppo presi ad osservare qualcosa sul cellulare, non si sono accorti della mia entrata.

Spero che Dave non abbia fatto parola a Max del mio ritardo. Mio fratello è così irritantemente protettivo, soprattutto per quanto riguarda la scuola, vorrebbe fossi perfetta perché conosce il mio potenziale e i nostri litigi sono dovuti per lo più a questo.

In punta di piedi mi avvicino alle loro spalle e mi accuccio all'altezza del loro orecchio «ciao, idioti» dico.
Dave sobbalza, mentre Max si gira di scatto impaurito.

I suoi occhi azzurri si trasformano in una lastra di ghiaccio e mi dà uno schiaffo sulla testa «cretina, mi hai fatto perdere cinque anni di vita» borbotta per poi tornare ad interessarsi, insieme a Dave, al suo cellulare.

Mi accontento di questo saluto consapevole che non ne riceverò di migliori e mi dirigo verso la cucina, per posare i gelati in freezer, cercando di schivare i giochi di Robin e Gilbert sparsi a terra, con delle mosse da far invidia a Vincent Cassel in Ocean's Twelve. Va bene dai, non mi allargo, però ad un lombrico sì, molta invidia.

Chiudo lo sportello e faccio per tornare in sala quando mi accorgo di un foglietto sul tavolo.

Io e papà torniamo tardi, Gilly e Robin stanno da nonna. La cena è pronta. Vi voglio bene, riposatevi!

Gilly è l'ultimo, ha da poco compiuto un anno, in realtà il suo nome completo è Gilbert Edoardo Souza, i miei hanno deciso di dargli i nomi dei rispettivi padri, conferendogli così l'aria di una nobile patata.

Mi scappa un sorriso, nel leggere il bigliettino, ne lascia uno così almeno una volta al mese. Cercano spesso, appena ne hanno l'occasione, di andare ad un appuntamento, solo loro due, per non perdere l'abitudine di quando erano fidanzati e senza quattro figli.

I miei genitori si sono conosciuti in Italia, precisamente a Firenze, negli Uffizi.
Mia madre era, ed è tutt'ora, la migliore amica del padre di Dave, William Parker, loro due si erano conosciuti in Cornovaglia, mentre mia madre stava lì in Erasmus, e da allora hanno stretto una forte amicizia.

William era sceso in Italia con degli amici per passare una vacanza insieme a mia madre e delle sue amiche in Toscana. È così che lei e mio padre si sono conosciuti. Lui si era perso a Firenze, non riusciva a trovare gli Uffizi e una volta dentro non riusciva a trovare il suo gruppo di amici. Mia madre per sbaglio gli andò a sbattere contro perché distratta dalla bellezza della Primavera di Botticelli.

«Scusami.» gli disse lei aggiustandosi gli occhiali da sole sulla testa.

«Tranquilla, ero... distratto.» si prese la colpa, provando a parlare in italiano, e indicò il quadro che anche lei stava ammirando. Da lì si misero a parlare di Botticelli e di tutta l'arte di quel periodo e non.

Quando scoprirono di stare nello stesso gruppo di amici rimasero entrambi sorpresi e diedero il merito una al destino l'altro al caso.

Questa storia la so a memoria, la raccontano di continuo.

Torno in salotto per dirigermi verso la mia camera e vedo Dave accucciato vicino al televisore frugando con dei tasti per accendere la play.

«è rotta» mento appoggiandomi con la schiena alla parete color panna.

I due si voltano a guardarmi, hanno un'espressione che è un mix tra terrore, rabbia e confusione.

«L'ha rotta Robin ieri, non so come. Papà deve aggiustarla» spiego loro.

Max si prende la testa fra le mani e soffoca un urlo per poi imprecare contro il fratello minore. Mentre Dave si limita a sbuffare.

«ora se potete lasciarmi la sala...» li invito e con un gesto della mano indico verso le scale.

Dave aggrotta le sopracciglia e si avvicina a me con le mani in tasca «ripeti cosa hai detto» mi chiede con tono tranquillo, curioso.

Inarco in sopracciglio «che te ne devi andare?»

Lui soffoca un risata e scuote la testa «riguardo la play.»

«è... rotta» ripeto incerta su ciò che voglia sentirsi dire.

Lui fa un sorriso divertito, poggia una mano alla parete, accanto al mio volto, i suoi occhi marroni mi scrutano divertiti ed io non riuscendo a reggere lo sguardo, lo porto sulle mie converse mal ridotte «lo sai che quando menti alzi il lato destro del labbro?»

Merda.

Con uno scatto mi butto a terra e passo tra le sue gambe divaricate per poi correre verso le scale, se mi prende mi distrugge. Non è la prima volta che cerco di sabotare i loro pomeriggi passati in sala, hanno sempre il monopolio della stanza e io non posso mai guardare la televisione!

Sono quasi arrivata in camera quando mi afferra per il polso, lo rigira dietro la mia schiena costringendomi a voltarmi verso la sua faccia, non è arrabbiato ma divertito «bella mossa, peccato per...» mi dà dei colpetti delicati sul lato destro delle labbra sottointendendo il fatto che non sappia mentire.

Digrigno i denti e faccio per liberarmi, ma è troppo forte.
«e poi sei lenta, devi allenarti, se vuoi battermi, Nugget.»

Nugget. Ama darmi soprannomi imbarazzanti, questo è uno dei più utilizzati, solo perché sono più bassa di lui, gli arrivo sotto il mento.

«Fottiti, Dave.» dico liberandomi dopo uno sforzo enorme, per poi aprire la porta della mia camera.

«Max! La piccola dice le parolacce!» urla a mio fratello.

Stringo i pugni «un giorno di questi, Dave...» lascio la frase in sospeso nel vedere che sta per riavvicinare il braccio a me e con uno scatto mi chiudo a chiave dentro la mia stanza.

Dopo un'ora di auto segregazione nella mia stanza, in cui sono riuscita a completare l'elaborato di spagnolo, decido che non sono più in pericolo e scendo in cucina per premiare la fine del mio compito con il gelato.

Ma i due mi hanno battuto sul tempo e sono già seduti al tavolo con i magnum in mano.

«Finito l'elaborato?» mi chiede Max e mi irrigidisco di colpo, Dave deve aver parlato.

«Di che parli?» provo a fare finta di niente.

«Non dovevi fare un elaborato in spagnolo?» aggrotta le sopracciglia chiare e si gratta la testa coperta da corti capelli castani.

«Sì.»

«L'hai finito?»

«Sì.» le mie risposte sono secche, veloci, ho paura di dove vuole arrivare.

«Ah okay, riposo soldato, ero solo curioso. Poi posso leggerlo?» mi chiede con un sorriso e un peso enorme mi si toglie dal petto.

«Dopo vieni in camera, sta lì» rispondo prendendomi un magnum al lampone da dentro il freezer.

È quasi mezzanotte quando sento la porta della mia stanza aprirsi.

«Ancora sui libri?» è Max. Annuisco senza guardarlo e provo l'ennesima formula diversa.

«Ti serve una mano?» mi chiede piegandosi sul mio quaderno. Vedo che corruga la fronte, segno che sta facendo dei calcoli a mente, dopo qualche secondo sorride e raddrizza la schiena. «Ti dico come si fa, ascolta...» inizia a spiegarmi l'esercizio passaggio dopo passaggio. Alla fine paragono il risultato con quello del libro e nel vedere che è lo stesso sto per commuovermi.

Mi dà un bacio sulla testa per poi scompigliarmi i capelli spettinati «buonanotte e non ti dimenticare di chiedere scusa al professore per il ritardo nella consegna.» mi dice allontanandosi.

Mi giro di scatto e sto per elencare tutte le mie difese, ma lui mi blocca «non sono stupido Lili, è da una settimana che mi parli di questo elaborato... Dave cercava anche di difenderti.» dice con le sopracciglia alzate.

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