Parte 1 Prologo

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Prologo

Apollo stava fermo, il cuore pesante, mentre la città si rianimava per gli spettacoli e gli agoni finali. Prima che se ne accorgesse il centro abitato fu raggiunto da tutti gli spartani. Persino gli stranieri e gli schiavi erano invitati al grande banchetto.

Nei pressi del santuario si innalzavano tende e all'ombra dei marmi venivano sistemate le coperte per accogliere gli ospiti. I servi mescolavano il vino con l'acqua e il miele nei krater e lo servivano nelle coppe, le ancelle distribuivano il pane, la carne, il formaggio fresco, i fichi profumati e le fave. Il pranzo dell'ultimo giorno della festa si chiamava kopis, ed era il trionfo della vita dopo la morte.

Gli odori e il chiacchiericcio lo stordirono. Lo intontivano i canti melodiosi, le corde delle cetre che vibravano sotto le dita abili dei musici, lo scalpiccio e il nitrito dei cavalli guidati dagli aurighi nelle corse, gli applausi acuti alle ragazze che correvano. Era tutto quello che un tempo lo rendeva felice e che adesso gli scavava nel petto un vuoto colmo di malinconia. Forse un giorno..., gli diceva sua sorella. L'eternità era insopportabilmente lunga.

La vita trionfava durante le feste che aveva organizzato per onorare Giacinto. Si accasciò sui gradoni del tempio. Rivolse lo sguardo all'interno del santuario, alla statua che raffigurava il giovane amato, bella ma fredda.

Posò il capo sulla colonna e attese che le voci si spegnessero, che gli spartani e chiunque fosse accorso alla festa se ne tornasse a casa, con le pance piene e l'animo felice.

Il cielo divenne presto una coperta blu ricamata dalle costellazioni che lui e Giacinto osservavano a Delo, seduti o sdraiati nella radura, mentre il mare rumoreggiava lontano e l'odore di salsedine si appiccicava alla pelle.

Lo invase la nostalgia. Chiuse gli occhi. Fu l'ululato di un cane a risvegliarlo. Tra le colonne riecheggiò un tacchettio acuto e leggero sul pavimento di pietra.

All'interno del tempio, illuminata dalle fiaccole camminava Ecate, il volto pallido e la veste scura. La seguiva uno dei suoi cani. Le fiamme tremolavano sul suo viso, facevano risplendere le vene azzurre ricamate sotto la sua pelle di luna trasparente e la cinta color zafferano che le scivolava sulla vita. Tra il profumo d'alloro del santuario si insinuò quello delle erbe aromatiche e medicinali che la dea usava per le sue pozioni. Lei era in grado di passare dal regno dei vivi a quello dei morti con uno schiocco di dita, a lei Cerbero non chiedeva spiegazioni né mostrava le fauci. Era l'unica dea a non aver paura dell'acqua di Stige. Era l'unica abbastanza ribelle da sfidare Zeus e aiutarlo.

«Mi hai riportato Giacinto?», le domandò Apollo con il cuore in gola.

Sulle labbra di Apollo (gay themed) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora