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1958.

Sveglia! Una flebile voce si levò nella mia piccola stanza da letto. Era ancora buio, le persiane totalmente abbassate e dal corridoio una luce fioca che lasciava uno spiraglio dalla porta semi aperta. Sveglia! Quella voce continuò ad echeggiare nella mia mente, quindi scostai le lenzuola per mettere i piedi per terra. Scesi le scale, ancora sonnecchiando e strofinandomi gli occhi. "C'è qualcuno?" domandai a voce bassa, ma non ricevetti risposta. A piccoli passettini raggiunsi il seminterrato, trovando una figura di spalle. "Chi sei?" si voltò, ma restò nell'ombra quindi non riuscii a vedere la sua faccia. "Lo scoprirai molto presto" la voce era di una ragazza, forse appena ventenne.
Era rassicurante, non inquietante né severa. "Lauren, cercami" mi consigliò prima di dissolversi nell'oscurità. "Aspetta!" allungai la mano per raggiungerla e mi ritrovai nel mio letto. Mia madre era seduta al mio capezzale, la mano sulle mie gambe. "Tesoro, è tutto ok?". "Un brutto incubo". Lei si voltò verso mio padre, che attese appoggiato al cardine della porta. Si scambiarono uno strano sguardo. "Perché continuo ad avere incubi?". "Amore, hai cinque anni. È normale per una bambina della tua età. E adesso dormi".

Mi portai le lenzuola sulla testa, cercando di riprendere sonno. Nel contempo udii i miei, discutere dalla loro camera da letto.
Era molto distante dalla mia, ma potevo sentirli distintamente, come se fossero accanto a me. "Cosa pensi che le stia succedendo?" domandò mia madre. "Lo hai detto anche tu. È l'età". "Non ci credo che tu la pensi così. Credi che sia come lei?". "No!" sbottò mio padre, per poi abbassare immediatamente la voce. "Non possiamo parlarne adesso. Lauren potrebbe sentirci". "Sta dormendo. Frank, dimmi cosa ne pensi di tutta questa storia". "Se te lo stai davvero chiedendo, no. Non credo sia come lei..." mi misi a sedere, aggrottando la fronte. Lei. Mi domandai di chi stessero parlando e nel frattempo, ricordai la ragazza che avevo visto nel seminterrato. Sentii dei passi lungo il corridoio, quindi mi rimisi a dormire o almeno, feci finta di dormire.

[...]

Il mattino dopo, mio padre era andato a lavoro. Scesi in cucina per la colazione. Un buonissimo odore di pancakes pervase la stanza. Mi sedetti sullo sgabello, osservando mamma ai fornelli. Si voltò verso di me. "Oh amore, non ti avevo sentita". "Hai la musica alta" allungai la mano per abbassare il volume della radio. "Come hai dormito?". "Bene" mi limitai a dire, ricordando la conversazione che avevo origliato spontaneamente. "Chi è lei?".

"Lei?" ripeté, evitando il mio sguardo. "Quella di cui stavate parlando stanotte". Mamma alzò le spalle, spegnendo il fuoco sotto alla padella. "Ci hai ascoltati". Annuii, quindi lei venne da me porgendomi il piatto. "Ho sognato una ragazza stanotte. Mi chiedeva di cercarla...". "Speravo di non dovertene mai parlare, ma..." prese tempo, mettendosi a sedere. "Prima di te, io e tuo padre abbiamo avuto un'altra bambina. Aveva un problema, quindi decidemmo di darla via...". "Via?". Cominciò a singhiozzare. "Tuo padre era restio, ed io non ho avuto altra scelta".
"Che problema aveva?" domandai, curiosa.
Non ricevetti risposta, poiché tornò mio padre e lei si ammutolì. Si asciugò le lacrime, baciando papà. "Le mie ragazze. Va tutto bene?".

"Alla grande

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"Alla grande. Lauren stava facendo colazione". Papà mi strofinò la mano sulla nuca, stropicciandomi i capelli. Dopodiché salì al piano di sopra. "Mamma, stavamo parlando".
"Non posso dirti altro, almeno non adesso. Finisci di mangiare e torna di sopra" obbedii, finendo i pancakes in pochi secondi. Restai qualche giorno con un enorme dubbio. Tentai di non pensarci, quindi restai una notte a dormire da un'amica. Lei si chiamava Annie, ed abitava a pochi passi da casa mia. È stata la mia migliore amica per un po' di tempo, era come una sorella perciò sentii la necessità di parlarle di quello che avevo appena scoperto. Durante la notte, quando la casa calò nell'oscurità, alzammo le lenzuola sulle nostre teste, accendendo una torcia.

"Allora, di cosa volevi parlarmi?". "Annie, ho scoperto di avere una sorella". "Ma sono io tua sorella" commentò, serrando le labbra. "Oltre te. Ho una sorella più grande". "E dov'è adesso?". Feci spallucce, all'oscuro di tutto. "Me ne ha parlato mamma e vorrei tanto scoprire dove si trova...". Annie iniziò a sbadigliare. "Hai sonno?". "No, ma mi sento stranamente stanca. Forse dovremmo..." i suoi occhi si chiusero all'improvviso. La scossi per poterla svegliare, ma sembrò completamente andata. Mi misi a dormire anche io, spegnendo la torcia. La luce del sole filtrò dalle finestre troppo presto. "Bambine, è pronta la colazione" la mamma di Annie ci richiamò dal piano di sotto. Mi misi a sedere, voltandomi verso la mia amica. Era ancora nella stessa posizione della sera prima. Non si era mossa di un centimetro. "Annie?" le diedi un buffetto sul braccio, non ricevendo risposta. "Annie?" ripetei, muovendola ancora. La osservai con più attenzione, accorgendomi di un particolare inquietante. Sua madre entrò nella stanza. "Bambine, siete sveglie?". Restai immobile, con il fiato sospeso. "Lauren, cosa c'è?" iniziai a tirare su con il naso. "Annie. Annie è...". La signora Willis si avvicinò, accarezzando i capelli della figlia. "Amore, è mattina". Sua figlia non rispose. Lentamente mi allontanai, mettendo i piedi per terra. Le accarezzò ancora i capelli, vedendola serena e con un sorriso sulla faccia. La testa bionda sprofondata nel cuscino. "Annie?" disse per l'ultima volta, prendendola tra le braccia. "Ian! Vieni di sopra!" in pochi secondi, il signor Willis corse su per le scale, precipitandosi nella stanzetta di sua figlia. "Cos'è successo?". "Annie, non respira più". Lui mi guardò, aggrottando la fronte. Poi andò dalla moglie, afferrando il corpo esanime della figlia. Non riuscii a spiaccicare parola.

Non capivo che cosa fosse successo e nemmeno i signori Willis lo capirono mai. Dall'esame autoptico, risultò che gli organi di Annie si erano spenti all'improvviso, smettendo di funzionare. Secondo il medico legale, si era addormentata in completa serenità e non aveva provato dolore. Benché nulla potesse far risalire a me, mi sentii colpevole e qualche anno dopo compresi la reale natura della morte prematura della mia migliore amica. L'avevo fatta addormentare io, senza accorgermene.

[...]

Mia madre venne a prendermi dall'ospedale, chiedendomi subito che cosa fosse successo. "Annie" riuscii a dire. I suoi genitori erano a poca distanza da noi, sconvolti, con il viso tra le mani. Solo quando tornai a casa, dissi a mamma che era stata di certo colpa mia. "Come puoi dire una cosa simile? Avrà avuto qualche problema cardiaco o neurologico. Tu non c'entri assolutamente nulla". "E allora perché mi sento uno schifo?" soffocai un pianto sul suo petto, mentre mi accarezzava i capelli. "Non è colpa tua. Non è assolutamente colpa tua" ripeté, come per autoconvincersi della mia innocenza. Io non ho mai superato quella parte della mia vita, sebbene siano passati quasi venti anni.

𝐁𝐞𝐜𝐨𝐦𝐢𝐧𝐠 𝐚𝐧 𝐗-𝐌𝐞𝐧 | 𝐋𝐮𝐜𝐲 𝐁𝐨𝐲𝐧𝐭𝐨𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora