19.

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1980.

Il mattino seguente, aprii gli occhi per prima. Remy era steso sulla pancia, i capelli del colore del miele gli coprirono il volto, nascondendogli la faccia. Scostai lentamente il plaid per non svegliarlo e dopo mi infilai la sua camicia, raggiungendo la cucina. Mi misi ai fornelli, preparando la nostra prima colazione in quel meraviglioso chalet. Mi ritrovai a canticchiare, felice, spensierata, sollevata. Ruppi due uova, aggiungendo sale, formaggio e un pizzico di pepe. In pochi minuti, l'omelette per Remy era pronta. Presi un piatto dalla credenza, sistemando in modo raffinato la colazione su un vassoio, con un bicchiere di spremuta. Mi preparai a portarlo da Remy, ma lui mi sbucò davanti in boxer, mentre si strofinava le dita sulle palpebre. 

"Che ore sono?" brontolò con voce soffocata

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"Che ore sono?" brontolò con voce soffocata. "Non sono nemmeno le sette". "Sei sempre troppo mattiniera!" commentò, avvicinandosi al frigo. Guardandoci dentro, fece una smorfia. "C'è da fare un po' di spesa qui. Oggi andrò in città..." lo chiuse, tornando con gli occhi su di me. Solo in quel momento notò che avevo un vassoio in mano, quindi sorrise. "Quello è per me?". Annuii, porgendoglielo. "Non faccio mai in tempo a portartelo, perché tu ti svegli prima". "Ok, aspetta..." agitò le mani, indietreggiando "...torno sotto alla coperta, così puoi servirmi la colazione a letto". Soffocai una risata, posando il vassoio sull'isola in marmo. Remy mi scrutò dalla testa ai piedi. "Dimmi che sei nuda sotto alla mia camicia". Abbassai lo sguardo. "Beh... può darsi" iniziò ad avanzare verso di me. "Mi stai tentando, dolcezza". Si chinò su di me, sollevandomi piano la camicia. Posò le grandi mani sotto alle mie natiche, stringendo forte la carne. Mi sollevò sull'isola, tornando a baciarmi. Scostò il colletto della mia camicia, sfilando il primo bottone. "Sì, sei nuda..." dichiarò, decidendo di non consumare la sua colazione.

[...]

Appena entrai in doccia, Remy si appoggiò al cardine per salutarmi. Era andato a fare la spesa in città, prenotando un taxi. Quello sarebbe stato il nostro unico mezzo di trasporto nei mesi a seguire, poiché avevamo lasciato la nostra auto a New Orleans. Volevo sentire Cassandra e chiederle come stava andando alla scuola, ma la casa non aveva strumenti elettronici. Ero abbandonata a me stessa. Mi vestii in fretta, raggiungendo la città per chiamare un taxi. Appena trovai una cabina telefonica, composi il numero del professor Xavier. Nell'attesa che partiva la chiamata, mi strinsi nel giaccone, notando la neve scendere dal cielo come per magia. 

"Scuola di Xavier per ragazzi dotati

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"Scuola di Xavier per ragazzi dotati. Chi parla?". "Sono Lauren Darkholme, vorrei...". "Lauren!" esclamò la voce gutturale dall'altro capo della cornetta. Lo riconobbi immediatamente. "Hank, che piacere risentirti". "Già" brontolò lui "...è da un po' che non ti fai vedere. Dove sei?". "Beh..." mi guardai intorno. Ero circondata da una coltre di nebbia, neve e ghiaccio. "...siamo in Canada". "State ancora cercando il fratello del tuo ragazzo?". "No..." scossi la testa, rigirandomi il filo del telefono tra le dita "...l'abbiamo trovato subito. Abbiamo deciso di restare nei dintorni". "Ho capito. Siete in una specie di luna di miele" scherzò Hank, particolarmente sollevato dalla scoperta della mia relazione "Una specie, sì". Chiacchierammo un po' e dopo qualche minuto, dovetti aggiungere altre monete. "Sono di nuovo io. È caduta la linea". "Da dove stai chiamando?". "Da una cabina telefonica. Sono a Quebec City e fa un freddo cane". Presi tempo, poi gli domandai di Cassandra. "La tua amica sta facendo enormi progressi, sia fisicamente che psicologicamente". "Che cosa intendi?" gli domandai, incuriosita. "Aspetta, te lo dirà lei stessa..." la voce di Hank si fece sempre più lontana finché non udii quella di Cassandra. "Lauren?". "Cassie, tutto bene lì?". La sentii sorridere e scherzare con qualcuno alle sue spalle. "Va alla grande qui. Ho conosciuto tanti ragazzi come me. Ho scoperto che, non solo posso controllare gli apparecchi elettromagnetici, ma posso anche controllare il metallo. Proprio come quel tipo alla tv". Magneto. Pensai, ricordando il suo volto nascosto dall'elmetto rosso. 

"Tu dove sei?"

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"Tu dove sei?". "In Canada" feci spallucce, guardando una donna venire verso la cabina telefonica e aspettare. "Sto occupando la cabina. Credo che dovrò richiamarti...". "Aspetta!" Cassandra mi bloccò, quindi feci un cenno alla donna. "Io e Alex ci stiamo frequentando ufficialmente adesso". "Dici sul serio?". "Sì, è un ragazzo formidabile. Come tutti qui, del resto. Vorrei che tornassi. Ho tante cose da dirti. È tornata anche tua sorella l'altro giorno..." le sue ultime parole mi lasciarono interdetta. "Raven?". La sentii annuire. "Come mai è tornata?". "Non so. Si è chiusa subito nell'ufficio del professore. Penso abbia delle novità". La salutai, lasciando la cabina e chiamando un taxi per poter tornare allo chalet. Nello stesso momento in cui imboccai la strada nel bosco, Remy scese dall'auto raggiungendo il portico. Mi vide arrivare, perciò esitò davanti alla porta. "Dove sei stata?". "Dovevo fare una chiamata. Ho cercato una cabina telefonica". Remy mi attirò a sé, strofinando la mano sul mio giaccone per potermi tenere al caldo. "Entriamo. Si gela qua fuori". Ci pulimmo gli stivali, pieni di fango e neve, sullo zerbino. Poi ci sfilammo le giacche, accendendo il fuoco. "Chi hai chiamato?" domandò Remy, spostando i ceppi della legna con l'attizzatoio. "La scuola. Volevo sentire Cassandra". "E cos'ha detto?". Mi sedetti accanto a lui sul tappeto, mettendo le mani davanti al fuoco per riscaldarmi. "Ha detto che è tornata Raven qualche giorno fa. Secondo lei, aveva delle novità". "Di che tipo?". "Non ne ho idea". 

𝐁𝐞𝐜𝐨𝐦𝐢𝐧𝐠 𝐚𝐧 𝐗-𝐌𝐞𝐧 | 𝐋𝐮𝐜𝐲 𝐁𝐨𝐲𝐧𝐭𝐨𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora