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1971.

Casa mia era andata a fuoco, quella in cui avevo trascorso gli ultimi diciotto anni della mia vita. Mio padre era morto e con sé anche il mio segreto. Non ha mai saputo di me, di quello che potevo fare, le altre cose che avrei imparato a fare di lì in avanti. La mia casa era un cumulo di macerie, perciò dovetti trovarmi una sistemazione. Fuggire, per così dire. Mia madre sarebbe rimasta in ospedale, sotto osservazione per le ustioni riportate nell'incendio. Dove andare? L'unica domanda che occupò la mia mente per mesi. Finito il liceo, mi misi lo zaino in spalla, spostandomi di città in città con il treno. Ero sola, non avevo amiche, nessuno di cui fidarmi ciecamente. Non potevo tornare da mia madre. Non era ancora tempo di redimersi, ma l'avrei fatto. Dopo diverse settimane di vagabondaggio, trovai un rifugio sicuro, dove restai per qualche mese. Di notte, uscivo per strada. Era l'unico momento della giornata in cui potevo passare inosservata.

Con cappuccio sulla testa e mani infilate nella felpa, passeggiavo per ore lungo i marciapiedi della contea di Westchester. Non capii mai perché avessi scelto proprio quel posto, a meno di due ore di treno da New York, così vicino alla mia casa. Non appena mi ci sono ritrovata, ho sentito qualcosa nell'aria, come se appartenessi a quel posto.

[...]

Era passata la mezzanotte ed io ero ancora lì, seduta al bancone, con una pinta di chiara stretta nella mano. Il barista mi aveva subito chiesto la carta d'identità, quindi io gliela porsi alterando la percezione della sua realtà e facendogli credere di avere già ventuno anni. Mi sorrise, porgendomi il boccale. Spesso, mi era sembrato gratificante avere dei poteri, come se potessi fare qualsiasi cosa mi andasse di fare. Ero libera,giovane, spensierata. Avevo scoperto quel nuovo potere solo qualche tempo prima, improvvisamente. Mi ero destata un mattino, con un forte bruciore agli occhi e le tempie che pulsavano. Credevo di impazzire, perché l'emicrania non esitava ad andare via. Dopodiché ho visto qualcosa fuori dalla mia finestra. Era inverno, nevicava. Il quartiere era abbellito dalle luci di natale e dagli abeti, agli angoli dei marciapiedi.

Pensavo fosse un sogno, doveva esserlo. Eravamo in piena estate, trenta gradi all'ombra. Tutto ciò che mi circondava non era reale. Infilai la vestaglia, uscendo nel pianerottolo. I miei piedi nudi, vennero a contatto con la neve gelida, lasciandomi un brivido lungo la spina dorsale. Sgranando gli occhi, mi ritrovai nel mio letto, turbata. Non capivo cosa fosse successo, finché non mi ricapitò qualche giorno dopo. Un secondo potere si stava facendo spazio dentro di me, però fui stranamente sollevata, dopo aver compreso che, in confronto al primo, era meno dannoso per me, ma specialmente per chi mi si avvicinava. Il mio nome in codice restò sempre Lullaby, mentre altre abilità continuarono a divampare nella mia mente, come un tuono nel cielo che preannuncia una tempesta. 

Ordinai un secondo boccale di birra, osservando le persone intorno a me. Tra di loro c'era un ragazzo, un intellettuale. Lo capii dal suo modo di vestire e dagli occhiali neri sul naso. Incrociò il mio sguardo, avvicinandosi. "Posso sedermi?". "E' un paese libero"commentai, chiedendo il conto. "Va già via?". "Oh sì, è tardi per me"."Peccato, volevo conoscerla meglio". Feci spallucce, mostrandomi indifferente. Non potevo avvicinare nessuno, non potevo fidarmi di nessuno. L'ultimo ragazzo con cui ero stata, mi aveva tradita e le mie capacità sovrannaturali non miglioravano di certo la situazione. "Spero di rivederla". "Improbabile". Il ragazzo, con degli enormi occhi blu che difficilmente potevano essere celati dagli occhiali, fece una smorfia. "Non è di queste parti?". Scossi il capo. "Sono in visita, ma credo che tornerò in città molto presto". Infilandomi il giacchetto, il ragazzo mi bloccò. "Allora non posso farmi sfuggire questa occasione. Posso offrirle un'altra birra? Le assicuro che sono un tipo affidabile". Temporeggiai, posando lo sguardo sull'orologio appeso sul bancone.

"Va bene, altri cinque minuti". Sebbene mi fossi ripromessa di andarmene presto, restai a chiacchierare con lui per un'ora buona. Mi raccontò di essersi laureato ad Harvard a quindici anni. Era difficile da credere, ma sentirlo parlare mi fece capire che poteva essere vero. "Sai, non immaginavo che ti saresti avvicinato". Lui soffocò una risata, sorseggiando la sua birra. "È perché?". "Sembravi molto impacciato e di solito gli intelligentoni lo sono"."Beh..." iniziò a dire, posando il boccale "...negli ultimi tempi ho imparato a mostrarmi di più. Essere timido non ha mai portato a nulla". Ci fu qualche minuto di silenzio. Io stavo pensando ad un buon motivo per andarmene, ma non lo trovai. "Hai qualcuno che ti aspetta a New York?". Mi domandò all'improvviso. I suoi occhi blu si tuffarono nei miei. 

Mi limitai a scuotere il capo

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Mi limitai a scuotere il capo. "E tu? Non dirmi che sei single". "Purtroppo" si strinse nelle spalle,avvolte da una giacca di cuoio marrone scuro. "Mi sono innamorato di una ragazza tanto tempo fa e forse non sono ancora riuscito a dimenticarla, sebbene sappia per certo che il suo cuore appartiene ad un altro adesso". "Impossibile" dichiarai, finendo il mio terzo boccale di birra "...non si può dimenticare un ragazzo dolce e intelligente come te". Lo vidi arrossire e capii di essere ubriaca. "Beh, forse è il momento che io me ne vada". Mi fermò prima che potessi raggiungere la porta. "Non mi hai detto come ti chiami" annuii,porgendogli la mano. "Mi chiamo Lauren". "Hank!" dichiarò, stringendo le sue dita con le mie. La sua presa era decisa, potente. "Hank McCoy". Mi avvolsi la giacca attorno alle spalle, camminando verso il mio appartamento. Per tutta la serata, mi posi delle domande su quel ragazzo. Avevo percepito qualcosa nel suo essere, un'insolita luce brillava nei suoi occhi cobalto. Compresi che l'avrei rivisto.

𝐁𝐞𝐜𝐨𝐦𝐢𝐧𝐠 𝐚𝐧 𝐗-𝐌𝐞𝐧 | 𝐋𝐮𝐜𝐲 𝐁𝐨𝐲𝐧𝐭𝐨𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora