12. Piscina

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Mi svegliai ancora in balia del caldo. Un intenso odore di colonia mi invadeva le narici e capii automaticamente di essere tra le braccia di Luke.

No, un'altra volta no.

Ma poi come aveva fatto ad entrare? Io non lo avevo chiamato quella notte e la porta era chiusa a chiave, ne ero certa.

Aprii gli occhi. Era così dolce e docile quando dormiva, ma dovevo svegliarlo, stavo morendo di caldo! Sapevo già di non riuscire a levarmelo di dosso, quindi non ci provai nemmeno.

«Luke! Mi sono cadute le mutande, non aprire gli occhi!» urlai sperando che funzionasse.

«Stavolta non ci casco» mormorò ad occhi chiusi.

Sbuffai «Tanto sei tu che ci perdi» ridacchiai.

«Non saresti mai in grado di toglierti le mutande con me di fianco» sorrise ma ancora con le palpebre chiuse.

«Ah, tu credi?» risi. Simulai un movimento da spogliarello approfittando del suo stato da mezzo addormentato. Non me le tolsi per davvero, ma presi un paio di mutandine pulite dallo zainetto accanto al letto.

Le sventolai sulla sua faccia «E queste cosa sono?» chiesi lasciandole cadere sul suo naso.

«Odorano di detersivo, non sono quelle che hai avuto in dosso, imbrogliona» rise.

«Uffa!» mi rassegnai e presi le mutandine per poi rimetterle nella borsa «Ma poi che ci fai qui? E soprattutto: come diamine hai fatto ad entrare?! La porta era chiusa a chiave!»

«Piccola e innocente Veronica, tu non lo sai ma io posso fare qualunque cosa!» rise aprendo gli occhi «In verità tutte le porte hanno la stessa serratura» ammise con sorrisetto beffardo.

«Buono a sapersi» risi «Ora potrei entrare in camera tua di notte e stuprarti!» avvisai con sorriso malizioso, ma in verità ero seriamente preoccupata.

«Ci conto allora» sorrise mordendosi il labbro.

Dio santissimo santo che mi proteggevi dall'alto dei cieli, come aricderbolina avevi fatto a creare una creatura così fottutamente perfetta? Cavolo, era da stupro quel ragazzo.

«Dai Luke, seriamente, perché sei qui?» chiesi piuttosto snervata.

«Ho fatto un incubo» mormorò.

«Luke, hai diciotto anni, non cinque! Lo sai che gli incubi non sono reali, vero?» domandai alzando gli occhi al cielo.

«Sì, lo so, ma questo era spaventosissimo! Avevo bisogno di un paio di tette per confortarmi e sono venuto qui!» spiegò. Mi avvicinò a sé e mi strise più forte con un solo braccio per strofinarsi gli occhi con la mano libera.

«Ma come hai detto tu, io non ho tette» gli feci la linguaccia.

«Io sto parlando sul serio!» protestò.

Alzai gli occhi al cielo «D'accordo...e cos'hai sognato?» chiesi annoiata.

«Ho sognato che il mio amichetto sotto era diventato piccolo e che nessuna voleva più venire al letto con me!» si lamentò disperato, forse sul punto di piangere.

Appoggiò la testa sul mio petto, precisamente trai seni - c'era da aspettarselo. Sbuffai e lo abbracciai «Tranquillo, era solo un sogno...chiunque vorrebbe venire al letto con te...» consolai, forse non avrei dovuto dire anche l'ultima frase perché alzò il viso e mi guardò con ghigno divertito.

«Vorresti venire al letto con me?» domandò «Anche se ce l'avessi piccolo?» corresse con sorriso speranzoso.

«Non so...» sorrisi tirata «Piccolo quanto, precisamente?» chiesi e scoppiammo entrambi a ridere.

Due settimane con Hemmings Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora