10. Recupero

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Stavo guardando tranquilla la TV, essendo venerdì Luke era andato a quella festa della squadra di basket, fatta da un'altra parte però.

Ero concentrata a vedere una maratona di film d'amore, storie che nella realtà non potevano mai accadere.

Il telelefono di casa iniziò a squillare. Lo presi continuando a tenere gli occhi dritti sullo schermo.

«Pronto?» risposi piuttosto presa dal film.

«Vero, aiutami, ti prego» chiese la persona dall'altra parte del telefono.

«Scusi, chi parla?» domandai abbassando il volume della tele.

«Veronica, sono io! Luke!» chiarì piuttosto agitato. La sua voce era così diversa sentita attraverso un telefono.

«Che è successo?» chiesi un tantino preoccupata, guardando l'orologio. Erano all'incirca le dieci e mezza, mi chiedevo cosa volesse.

«Ti prego, vienimi a prendere, ci sono degli stronzi che vogliono spaccarmi la faccia» spiegò nervoso.

«Ma non dovresti essere alla festa?» domandai confusa alzandomi dal divano.

«Sì, ero lì prima. Poi ti spiego, ma ora vieni!» supplicò.

«Ok, porto Debby da mia nonna e vengo a recuperarti. Dove sei?»

«Vicino al nostro liceo, nella via che porta al centro. Ti prego, sbrigati o mi trovano» attaccò.

Misi una felpa che c'era sull'appendiabiti, non curante di chi fosse e, presa la bimba e le chiavi, uscii di casa. Chissà in che guaio si era cacciato quello stupido incosciente.

Bussai alla porta di casa.

«Arrivo!» sentii urlare la nonna «Ciao Ninì! Che ci fai qui a quest'ora?» chiese aprendo la porta.

«Scusa nonna, ma ora non ho tempo di spiegare, puoi tenere la bambina per un po'?» domandai facendole gli occhi dolci, sapevo che non poteva resistermi.

«Certo, ma è successo qualcosa di grave?» chiese prendendo Debby in braccio.

«Scusa, ma ora non posso veramente, prima di venire ti chiamo» le diedi un bacio sulla guancia e ritornai in macchina per poi recarmi a scuola.

La strada era bloccata per lavori quindi parcheggiai lì di fronte e andai verso la posizione di Luke.

Dovevo ammetterlo: mi stavo cagando sotto, per una ragazza della mia età non era di certo sicuro girare per le strade a quell'ora. Per fortuna avevo in tasca lo sprai al peperoncino.

Mi guardai intorno: non c'era nessuno nel posto indicato da Luke.

Ad un tratto fui afferrata per un braccio e trascinata all'interno di un vicolo. I brividi percossero all'istante tutto il mio corpo e il cuore iniziò a battere all'impazzata per la paura che potesse essere un drogato o chissà quale stupratore seriale che poi squartava le sue vittime per divertimento.

Afferrai la bomboletta nella tasca, pronta ad usarla.

La luce del lampione non illuminava quella parte di strada e mi era difficile capire chi fosse la persona di fronte a me.

Dire che ero terrorizzata era un eufemismo. Al telegiornale non si faceva altro che parlare di ragazze violentate e uccise, non volevo essere la prima notizia di cronaca nera dell'indomani.

I miei occhi si adattarono alla poca luce e in penombra riuscii a distinguere il volto di Luke. Automaticamente lo abbracciai per il sollievo.

«Coglione, mi hai fatta spaventare, te la farò pagare!» minacciai sussurrandogli all'orecchio.

Due settimane con Hemmings Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora