Capitolo 18.

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Il posto nel quale avremmo mangiato si trovava nell'Huruma, uno dei quartieri più poveri della città.

Non mi stupì affatto la scelta di Can.

Non era il tipo da ristorante a cinque stelle e, d'altronde, non lo ero neanche io.

Era nei quartieri come quelli che si respirava la vera cultura del Kenya, con tutte le sue tradizioni, le sue abitudini, i suoi usi e i suoi costumi.

Mi piaceva esplorare Nairobi e, ogni volta che mi ritrovavo al di fuori del quartiere di Upper Hill, era come se visitassi Nairobi per la prima volta.

Nonostante Huruma non fosse uno dei quartieri più malfamati della città, non era neanche lontanamente paragonabile ad Upper Hill e al quartiere dei Kayn.

"E' la prima volta che vieni da queste parti?" domandò Can.

Camminavamo l'uno di fianco all'altra facendo attenzione al marciapiede tappezzato di buche.

"Sì" ammisi, guardandomi intorno "Tu ci vieni spesso?"

"Qualche volta"

Il viale principale del quartiere era costeggiato da palazzine basse colorate da murales e nell'aria si respiravano odori contrastati, tipici dell'ora di cena.

Era un quartiere vivo, colorato dalle voci dei suoi abitanti, dal rumore del pallone dei bambini che giocavano per strada, come se fosse il più importante stadio del mondo.

Ci fermammo di fronte una palazzina più alta delle altre, le cui mura spiccavano, differenziandosi dalle altre, per il loro colore arancione.

Nonostante qualche zona della facciata fosse scrostata e i cornicioni dei balconi fossero rovinati, era una delle palazzine meno malconce e più integre del quartiere.

"Siamo arrivati" esordì Can, fermandosi di fronte al portone del palazzo.

La porta era socchiusa perché la serratura era ceduta per la troppa ruggine.

Nonostante una parte di me volesse scappare da quell'androne che, più che un portone, somigliava all'ingresso di un'abitazione da film horror, l'adrenalina di quel momento era più forte della paura e, seppur diffidente, seguii Can su per le scale.

"Sei sicuro che reggono?" domandai, percependo alcuni scricchiolii elevarsi ad ogni nostro passo sui gradini.

Can si lasciò sfuggire una risata divertita e si fermò sui suoi passi per aspettare che lo raggiungessi.

L'illuminazione nella scalinata era completamente assente e l'unico spiraglio di luce proveniva dai lampioni che si affacciavano sulla strada.

Fu solamente quando percepii la sua mano cercare la mia, nel buio di quell'androne, che i miei muscoli riuscirono a rilassarsi.

"Andiamo, altre due rampe di scale e siamo arrivati"

"Se le scale non cedono prima!"

Ci fermammo di fronte a una porta in legno sulla quale era stato appeso un foglio bianco.

E su questo foglio bianco spiccava una scritta nera, a grandi lettere, in inglese.

"If you're here to give us bad news, we're not home! If you're here to have fun, knock!"

La verità è che non avevo assolutamente idea di cosa mi sarei potuta ritrovare davanti e, improvvisamente, tutte le paternali che mia madre mi aveva inflitto nel corso della mia vita, sia prima che dopo aver compiuto la maggiore età, tornarono a invadermi i pensieri, riempiendomi di dubbi.

Chimera || CanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora