Accovacciata con le ginocchia premute contro la brecciolina fredda e il sudore che scivolava repentino sulle mie tempie pulsanti, finalmente accoglievo tra le mie braccia il frutto di un giovane amore nato tra i confini di Mitumba, la baraccopoli più povera di Nairobi, in Kenya.
Dopo un travaglio durato ben 18 ore, Akua, una ragazza keniota di appena diciotto anni, ormai allo stremo, era finalmente riuscita a dare alla luce la piccola Fara.
Ci trovavamo nella casa di Akua, una piccola baracca composta da una sola stanza in cui c'era tutto ciò che di più prezioso possedeva: un materasso, un fornetto elettrico da campeggio, una tazza, usata come water, una spazzola e una lampada a olio.
Akua non riusciva a smettere di piangere, mentre le posizionavo la piccola Fara tra le sue braccia stanche.
"Vado a chiamare il padre di Fara" dissi, rivolgendomi ad Aron.
Aron mi lasciò un buffetto sulla guancia e annuì.
Eravamo entrambi spossati e stremati, eppure, quello rimaneva il momento migliore dell'intera giornata.
Guardare i sorrisi di quelle persone pieni di gratitudine nei nostri confronti, ricambiava ogni nostro sforzo, ed era proprio quella riconoscenza a fare la differenza.
Sapere di essere stata utile, di aver reso possibile la nascita di Fara, mi rendeva stracolma di gioia e il mio cuore si gonfiava di emozione.
Nonostante il mio corpo cadesse a pezzi, non mi ero mai sentita così viva prima d'ora.
Davanti all'ingresso della tenda, con le mani giunte in preghiera e il capo chino, Tahir non aveva smesso un solo secondo di pregare.
Quando si accorse di me, sgranò gli occhi e mi corse incontro.
Afferrò le mie mani e le strinse con forza.
Il mio sudore si mescolò con il suo e riuscii a percepire tutta la sua apprensione riversarsi su di me attraverso i suoi grandi occhi scuri.
"E' nato? Akua come sta?" gli tremava la voce.
"Sì, stanno entrambe bene, è una femminuccia" spiegai, rassicurandolo, e lo vidi crollare in ginocchio ai miei piedi, mentre il suo sorriso entusiasta si mescolava a lacrime di sollievo.
"Sono padre!" urlò, e la sua voce squarciò il cielo azzurro di quella giornata afosa.
"Grazie mille, Cecilia" puntò nuovamente il suo sguardo su di me e non potei far a meno di sorridergli a mia volta.
"Vieni, andiamo dentro, ti stanno aspettando"
Si alzò con un balzo ed entrò nella baracca con passo svelto.
Quando vide Akua distesa sul materasso che stringeva tra le braccia un piccolo fagotto dalla pelle scura, le corse incontro e si inginocchiò al suo fianco.
Circondò le sue spalle con il suo braccio e le riempì il volto di baci, sussurrandole parole di pura gioia, mentre il suo sguardo era stato completamente rapito da quella bambina che lo aveva reso il padre più felice del mondo.
"Fara è fortunata" bisbigliò Aron al mio fianco.
Aveva ragione.
Mi trovavo in Kenya da due mesi, avevo assistito a decine e decine di gravidanze e le donne che erano rimaste incinte dell'uomo che amavano e che le ricambiavano potevo contarle sulle dita di una mano.
Akua e Thair non ero ricchi, ma avrebbero amato e protetto Fara più di ogni altra cosa.
Le avrebbero donato il loro amore come solamente due genitori che a loro volta si amavano potevano fare.
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Chimera || Can
Fiksi PenggemarCecilia Clark, a soli venticinque anni, si è ritrovata a dover lasciare la sua amata Londra per comprare un biglietto di solo andata per Nairobi. Quelle poche volte che ha visto l'Africa, è sempre stato attraverso lo schermo della televisione, e, ne...