Capitolo 14.

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Per evitare di rimanere incastrata nella pista da ballo, tra decine di avvocati brilli e senza più freni, decisi di evitare il viale principale e la sua brecciolina per inoltrarmi nell'erba umida e morbida del giardino.

Erano passate da poco le ventitré e il calo della temperatura cominciava a farsi sentire.

L'erba umida sotto i miei sandali mi solleticava i piedi e l'odore delle centinaia di specie floreali che circondavano l'area dedicata alla festa invadevano prepotentemente le mie narici.

Il cielo era limpido e grazie alla flebile illuminazione che rendeva l'atmosfera della festa soffusa e più intima, era possibile ammirare migliaia e migliaia di stelle, semplicemente alzando gli occhi al cielo.

A Nairobi avevo imparato ad apprezzare la bellezza della volta celeste, soprattutto dopo il crepuscolo.

Il clima perennemente uggioso di Londra non mi aveva mai permesso di ammirare quello spettacolo naturale che, puntualmente, ogni sera, si ripeteva, senza però stancarmi mai.

Così, con il naso all'insù e lo sguardo rivolto al cielo, camminavo con passo mesto, completamente attratta da quei bagliori luminescenti nel cielo, che sembravano danzare nell'aria come piccole lucciole.

Tuttavia, camminare con i tacchi nell'erba umida e morbida, si rivelò essere un'impresa più ardua di quanto pensassi.

Il tacco destro, infatti, con un tonfo sordo, sprofondò nel terreno bagnato e il mio piede fu ben presto ricoperto di erba e terriccio.

"No, no, no!" spalancai gli occhi, sconvolta "Le scarpe di Nala!"

Mi inginocchiai e slacciai il piccolo laccio che teneva ancorato il mio piede al sandalo, per poterlo liberare da quella morsa infernale.

La scarpa, intanto, era rimasta sommersa nel terriccio e mi affrettai a togliere anche l'altra scarpa per evitare che facesse la sua stessa fine.

Il sandalo, da bianco, era diventato marrone e nell'estrarlo dovevo far attenzione ad ogni mio movimento per evitare che il terriccio potesse raggiungere il mio abito bianco e renderlo, così, in pendant con la scarpa marrone.

Così, sollevai la gonna sopra le ginocchia per evitare che finisse a contatto con il giardino e, accovacciatami su me stessa, afferrai con entrambe le mani il tacco rimasto incastrato per poterlo tirare fuori.

Probabilmente misi un po' troppa forza nel tirare, perché il tacco fuoriuscì dal terreno con un movimento fluido e, quello sbalzo di forze, finì per farmi perdere l'equilibrio e sbilanciarmi all'indietro.

E mentre cercavo mentalmente delle spiegazioni da dare a Nala e Kato per giustificare il perché il vestito e le scarpe fossero diventati marroni, due braccia, alle mie spalle, mi afferrarono al volo, impedendomi di cadere rovinosamente a terra.

"E' la seconda volta, oggi, che cadi tra le mie braccia. Potrei farci anche l'abitudine, sai?"

I miei occhi saettarono verso l'alto e mi ritrovai a trattenere il fiato quando realizzai che il volto di Can era a un soffio dal mio.

Sorrideva divertito, ma le sue braccia non accennavano a voler lasciar perdere la presa su di me.

"Mi stavi seguendo, per caso?" domandai a mia volta, assottigliando lo sguardo per concentrarmi meglio sul suo volto e non pensare al fatto che eravamo terribilmente vicini.

"In realtà" si affrettò a chiarire e due fossette comparvero sulle sue guance "Ti stavo cercando"

"Pensavo te ne fossi andato" ammisi in un sussurro.

"Se me ne fossi andato saresti caduta rovinosamente a terra" ribadì lui e percepii le mie guance assumere una sfumatura più rosea.

Mi aiutò a tornare in posizione eretta e il suo braccio non lasciò per un solo attimo la presa sul mio, fino a quando non si fu assicurato che avessi ritrovato l'equilibrio.

Chimera || CanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora