Capitolo15.

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"Stai bene?"

Al mio fianco, Aron guidava tra le strade di Nairobi con il finestrino abbassato e il vento caldo che si incastrava tra i suoi ricci dal colore del grano.

"Non sono riuscita a chiudere occhio" ammisi e lanciai uno sguardo di sfuggita allo specchietto laterale dell'auto che rifletteva con cruda realtà l'immagine del mio volto, accentuando ulteriormente la profondità delle mie occhiaie.

A niente erano serviti i vari strati di correttore che Adele mi aveva messo.

"Non hai mai pensato di farti vedere da uno specialista? Per l'insonnia intendo" continuò Aron, lanciando un'occhiata inquisitoria.

"E' solamente il caldo di Nairobi, Aron" lo ammonii, consapevole di star mentendo a me stessa "Per come sono stanca potrei addormentarmi anche adesso"

"Non azzardarti" mi minacciò, frenando bruscamente a un semaforo rosso.

"E poi dici a me che guido spericolata!" sbottai, portandomi una mano al cuore.

"Almeno adesso non corri più il rischio di addormentarti" ammiccò nella mia direzione e tornò a premere sull'acceleratore.

La sala d'attesa dell'ambulatorio era già gremita di persone.

Era lunedì e, come ogni inizio di settimana, i postumi del week-end si facevano sentire.

Perciò, invece di sentirmi più carica per il meritato riposo della domenica, mi sentivo solamente più stanca e spossata.

Nonostante io e Aron lavorassimo insieme, in ambulatorio ognuno avevo il proprio studio perché le donne da visitare erano troppe e il tempo a disposizione troppo poco.

Aron, Ron ed Emma, essendo medici specializzandi, si occupavano della diagnosi, dell'eventuale ricerca di anomalie malformative a carico del feto e degli aborti.

Io, invece, mi occupavo di monitorare l'andamento della gravidanza, di valutare eventuali rischi a carico della mamma o del feto, di eseguire ecografie, PAP-test ed esami ematici.

Mi occupavo dell'educazione della donna che a breve sarebbe diventata mamma, delle sue preoccupazioni, delle sue domande.

Nonostante molte donne fossero lì per sottoporsi ai regolari controlli per monitorare la gravidanza e che, quindi, avevo già conosciuto, ogni giorno decine di nuove pazienti si rivolgevano al nostro ambulatorio, spaesate e preoccupate.

Molte erano giovanissime, appena quindicenni che, già con la fede all'anulare, portavano in grembo il frutto di qualcosa che le era stato imposto contro la loro volontà.

Oppure venivano da noi mie coetanee che, ormai allo stremo, dopo aver dato alla luce quattro o più figli e non potendo più sfamare altre bocche, erano obbligate a interrompere la gravidanza prima che il ventre cominciasse ad ammorbidirsi e il marito a insospettirsi.

Ogni volta che visitavo una donna, sulla sua pelle potevo leggerne tutta la sua storia, tutti i suoi segreti, il suo passato e i suoi ricordi.

Il nostro corpo è una pellicola sulla quale è dipinta, come fosse un quadro, ogni tappa della nostra vita.

Ogni tocco, ogni carezza, rimane impressa sulla pelle come fosse fuoco.

La prima cicatrice dopo una caduta dalla bicicletta.

Il primo abbozzo di seno.

Le prime smagliature.

Il primo bacio.

Il primo amore.

Ogni donna è una tela e ogni ricordo rimane impresso sulla pelle come inchiostro indelebile.

Chimera || CanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora