Capitolo 25.

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Erano passati otto giorni dall'ultima volta che avevo visto Can e la mia vita aveva ripreso la sua normale quotidianità tra i Kayn, l'ambulatorio e le mie pazienti. 

Come promesso, Aron aveva preso il mio posto nel progetto di Can ed era talmente impegnato con il documentario che la sua assenza dall'ambulatorio negli ultimi giorni cominciava a pesare.

Io, Ron ed Anne dovevamo occuparci anche delle pazienti di Aron, e questo significava prolungare le ore di attività dell'ambulatorio fino alle dieci di sera, con solo una mezz'ora di pausa per il pranzo. 

La sera tornavo a casa talmente stanca che non avevo neanche le forze di mettermi il pigiama.

Il lavoro era pesante, ma nonostante questo mi sentivo appagata.

Mi sentivo soddisfatta per ciò che stavo facendo per Nairobi. 

La voce che il dottor Aron stava collaborando con un famoso giornalista per un documentario di denuncia contro la povertà e la criminalità in Africa si era subito diffusa tra le donne che, nella sala d'attesa dell'ambulatorio, sembravano non voler parlare d'altro.

E la loro curiosità si riversava innegabilmente su di me.

Durante la visita non perdevano occasione per farmi domande e così non passava un solo giorno durante il quale non sentivo pronunciare il nome di quel maledetto giornalista. 

Erano le sette e mezza del mattino quando, nell'infilare la chiave dell'ambulatorio nella serratura, mi accorsi che la porta era già aperta.

"Buongiorno Cecilia, vuoi il caffè?" la voce delicata di Giovanni Ferrara giunse alle mie orecchie come un tuono in una mattina di piena estate.

"Cosa ci fai qui?" domandai sconvolta, accettando immediatamente la tazzina di caffè che mi stava porgendo.

Un forte aroma di caffè caldo inebriò le mie narici e, immediatamente, i miei muscoli sembrarono rilassarsi. 

Giovanni, essendo il responsabile dell'associazione che si occupava delle spedizioni di volontariato in Africa, era sempre impegnato con la burocrazia, passava le sue giornate tra il Consolato e l'Ordine dei Medici per cercare di far quadrare ogni cosa.

Era un maniaco dell'organizzazione.

Nonostante non venisse mai nell'ambulatorio, per qualsiasi problema bastava chiamarlo e subito accorreva.

Riusciva a trovare una soluzione per qualsiasi problema.

Lo ammiravo tantissimo, era una fonte di ispirazione continua. 

"So che siete a corto di personale, quindi eccomi qui" spiegò con nonchalance, mentre lavava la sua tazzina nel lavabo della cucina. 

"E' una notizia fantastica!" esclamai sollevata, lieta di avere un aiuto in più "Ti sei sentito con Aron?"

Giovanni annuì. "Ha detto che stanno girando molto anche nei dintorni di Nairobi e gli è impossibile riuscire a liberarsi. In realtà mi è sembrato molto annoiato dalla situazione, ma dice che sei stata tu a incastrarlo" sorrise divertito e non potei far a meno di alzare gli occhi al cielo. 

"Non è proprio così" borbottai indispettita, incrociando le braccia al petto.

"E' successo qualcosa che io non so?" indagò con cautela, i suoi occhi azzurri bruciavano di curiosità, nonostante apparentemente volesse mostrarsi distaccato. 

Giovanni conosceva Can Yaman.

Entrambi amanti dell'Africa e della sua cultura, si erano più volte incontrati agli eventi di importanza sociale costruendo così un rapporto per lo più formale, basato sul rispetto reciproco. 

Chimera || CanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora