Capitolo 23.

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Mi sentivo completamente spossato.

Avevo vissuto tutta la mia vita convinto che il vero amore esistesse, che i miei genitori, il loro legame indissolubile, ne fosse la prova concreta.

E invece da anni mandavano avanti un teatrino che adesso era stato distrutto in mille pezzi, e ciò che era rimasto del nostro legame non era più neanche lontanamente paragonabile al concetto di famiglia.

Ero sconvolto, guidavo il mio motorino percorrendo le strade secondo il mio istinto, mentre con la mente viaggiavo da tutt'altra parte.

Ripercorsi mentalmente gli ultimi anni e più pensavo a tutte le volte in cui i miei genitori si erano messi d'accordo per comportarsi in un determinato modo, seguendo un copione, più la rabbia saettava nelle mie vene, infuocando ogni centimetro della mia pelle.

Entrambi si erano rifatti una vita alle mie spalle.

Avevano preferito rimanere nell'ombra di una relazione segreta, piuttosto che affrontare la verità.

Improvvisamente mi sembrò di non conoscerli affatto.

Tutto questo tempo avevo vissuto con due genitori che si erano rivelati due perfetti sconosciuti.

Avevo bisogno di parlarne con qualcuno.

Avevo bisogno di parlare con Gaya.

Arrivato nella zona del lungomare abbandonai il motorino a ridosso di una parete scrostata e a grandi falcate raggiunsi la nostra piccola baia segreta.

La riconobbi immediatamente.

Indossava una gonna lunga turchese e aveva i piedi immersi nell'acqua.

Uditi i miei passi affrettai si voltò nella mia direzione, e il suo sorriso smagliante si spense non appena intravide il mio volto.

Mi passai furioso le mani tra i capelli, tirandoli con esasperazione, e senza più forze, sopraffatto dal turbinio di rabbia e delusione che si erano incastonati sulla mia pelle, caddi in ginocchio sulla sabbia.

Non mi diede il tempo di spiegarmi che mi raggiunse all'istante, si abbassò a sua volta e circondò le mie spalle con le sue esili braccia.

"Te l'hanno detto? Can, quanto mi dispiace..." bisbigliò al mio orecchio, ma le sue parole fecero irrigidire ogni muscolo del mio corpo.

Sperai di aver capito male.

"Tu lo sapevi?" sputai incredulo e uno squarcio di dolore si fece strada nel mio petto.

Vidi Gaya scrutarmi confusa, come se la mia domanda l'avesse colta in contropiede.

Provò ad allontanarsi, ma d'istinto le presi le mani tra le mie, impedendole di scappare.

"Gaya" la richiamai, e i suoi occhi vacillarono.

"L'ho scoperto per caso sette mesi fa. Ero venuta a casa tua dopo che Pablo mi aveva lasciata, stavo malissimo e avevo bisogno di te. Mi ha aperto la porta tua madre, era agitata, mi disse che eri al ristorante. Continuava a tenere la porta per metà chiusa, pensavo mi avrebbe invitata a entrare per un tè, come fa sempre, ma non successe. Si vedeva che aveva fretta di chiudere la conversazione e proprio mentre ci stavamo salutando vedo alle sue spalle un uomo che dal corridoio si dirige verso il salone. Non sapevo cosa fare, Can. Tua madre mi ha implorato di non dirti niente, voleva che lo sapessi da lei e da tuo padre, stavano cercando un modo per dirtelo" spiegò Gaya, la sua voce era un sussurro tra le onde che si infrangevano furiose contro gli scogli.

"Stavano cercando un modo per dirmelo" ripetei stizzito, scuotendo la testa oltraggiato "Sono passati sette mesi, Gaya, e loro ancora non sono riusciti a dirmelo"

Chimera || CanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora