Capitolo 9.

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Ogni nostra azione ha inesorabilmente una conseguenza sulle vite di coloro che ci circondano.

Ci promettiamo sempre di non voler far del male a nessuno, ma puntualmente l'azione più buona di tutte, finisce comunque per ferire qualcuno.

La verità è che più cerchiamo di controllare la nostra vita, più essa tende a sfuggirci dalle mani.

Volevo controllare Anwar e Adele e non ci sono riuscita.

Promisi a me stessa che non avrei più commesso lo stesso errore e mi resi conto, in quel momento, di quanto fosse tremendamente difficile la vita da sorella maggiore.

Isa era più grande di me di quattro anni, ed era sempre stata la più responsabile tra le due.

Era la figlia prediletta.

Mai un torto, mai un errore, era riuscita a costruirsi una carriera nel mondo finanziario senza mai deludere le aspettative dei nostri genitori.

A dieci anni già aveva stabilito che avrebbe frequentato la facoltà di economia, mentre io, a dieci anni, facevo ancora difficoltà a distinguere la mano destra dalla sinistra.

La ammiravo, non avevo mai conosciuto una persona più ambiziosa di lei.

Da brava sorella maggiore, era sempre stata la mia guardia del corpo personale.

Mi aveva coperta in più occasioni con i nostri genitori e mi aveva tirato fuori dai guai quando mi sembrava impossibile riuscire a trovare una soluzione.

Isa trovava sempre una soluzione per tutto, era la mia certezza quando niente sembrava girare per il verso giusto.

Eravamo completamente diverse, la sua indole razionale e minimalista si scontrava terribilmente con il mio animo sbadato e impulsivo, eppure, qualcosa in comune ce l'avevamo.

In amore, eravamo tremendamente vigliacche.

Lei non riusciva ad ammettere con sé stessa di avere un debole per Eric, ed io non riuscivo a far evolvere il mio rapporto con Mark.

A Nairobi, al posto di una sorella maggiore, avevo trovato Aron che, nonostante il suo egocentrismo e i suoi mille difetti, era la figura più simile a un fratello maggiore che potessi trovare a migliaia e migliaia di chilometri di distanza dalla mia famiglia.

Dopo essersi autoinvitato nel pomeriggio per fare merenda con me e i gemelli, Nala, vedendolo, aveva insistito affinchè venisse anche lui nella nostra disperata impresa di cercare un vestito con il quale rendermi presentabile per la serata del galà.

"Il 99% del genere maschile sarebbe scappato da una tale proposta di passare un pomeriggio all'insegna dello shopping. Perché tu, invece, hai accettato?" sbuffai sospettosa, e la risposta che chiarì tutti i miei dubbi non tardò ad arrivare.

"Quando mi ricapita di andare per negozi per poter spiare tra i camerini delle donne senza beccarmi una denuncia?" replicò soddisfatto a sua volta e non potei far a meno di alzare gli occhi al cielo.

"Guarda che potrei benissimo denunciarti io adesso" conclusi, incrociando le braccia al petto e guardandolo intimidatoria.

Scoppiò a ridere, allungò un braccio sulle mie spalle e ci incamminammo verso una boutique, cercando di mantenere il passo svelto di Nala.

L'impresa di trovare un vestito che avvalorasse le mie curve e non mi facesse inciampare con i tacchi sulla gonna lunga, si rivelò più ardua del previsto.

Il nero no perché mi faceva sembrare Morticia Addams.

La stampa a fiori no perché, secondo Nala, rischiavo così di confondermi con le aiuole che circondavano il luogo dove si sarebbe svolto l'evento.

Chimera || CanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora