Capitolo 35

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Capitolo trentacinque

Il tempo non le era mai sembrato così lento e fermo come in quel momento, sdraiata sul divano del salotto del piano terra.
Aspettava il rientro di Rider o dei suoi, che però tardavano a rincasare.
Chiunque, pur di non restare sola ancora a lungo con i suoi pensieri e i suoi assurdi ricordi. Sola e pensosa, proprio quei ricordi di qualche ora prima, le si presentavano alla mente come affilati coltelli che ferivano la sua testa che le doleva così tanto, che temette sarebbe scoppiata da lì a breve.

Non c'era un modo per dimenticare l'orrore a cui Rider l'aveva costretta ad assistere? Un qualsiasi modo per togliersi l'immagine del ragazzo inerme sul pavimento, senza più respiro e sangue nel corpo?

Si era sistemata sul divano perché sapeva che dormire in camera per quella notte sarebbe stato impossibile. Anzi, dormire, le sarebbe risultato un'ardua impresa.

Aveva chiuso la porta a chiave della sua cameretta, dopo che Rider aveva caricato sulle sue spalle il corpo del ragazzo per trascinarlo nella sua macchina.

Lo stesso ragazzo si era precedentemente occupato del sangue che macchiava il suolo della camera, e avrebbe distrutto le pezze e gli stracci colmi di sangue.
Si sarebbe disfatto del cadavere, dopo averlo saccheggiato. Magari le sue tasche contenevano qualche indizio, un cellulare con il quale era in contatto con lo stesso Pierce. Qualsiasi cosa sarebbe risultata utile.

Guidò per svariati kilometri, finché non raggiunse una zona residenziale, parcheggiò la sua BMW e con una decappottabile rubata guidò per le campagne, dove avrebbe successivamente privato dei proiettili il corpo anche al costo di farlo a pezzetti per eliminarne ogni traccia, bruciato e infine seppellito il cadavere, lasciando appositamente le ruote della nuova macchina sporche di fango e terreno.
Avrebbero rintracciato il proprietario del veicolo, e Rider sarebbe rimasto nell'anonimato.
Subito dopo, avrebbe gettato e distrutto i guanti e sarebbe tornato alla sua macchina, poi dalla sua bambina spaventata.

Un po' si dispiaceva per quello sguardo perso nel vuoto che la ragazza gli aveva mostrato, prima di chiudersi la porta d'ingresso alle sue spalle, lasciandola sola e spaesata nella sua stessa casa.
Ma lui l'aveva avvisata, non sarebbe dovuta uscire dal nascondiglio senza il suo permesso, non avrebbe dovuto vedere nulla. E invece, testarda com'era, si era permessa di disobbedire. Era solo colpa sua se si era procurata un trauma, Rider c'entrava 'solo' in parte.
E poi doveva necessariamente ucciderlo, altrimenti, sottoterra, avrebbe dovuto esserci lei al posto del ragazzo, che in quel momento ardeva sotto lo sguardo cupo di Rider.

Passò circa un'ora e finalmente poté tornare a casa, dove i genitori di Melanie non erano però ancora rincasati.

- Meglio - si disse, non avrebbe dovuto giustificare la sua scomparsa a nessuno.

Addentrandosi nel salotto, scorse la figura esile e rannicchiata di Melanie sul grande divano beige, che singhiozzava. Si avvicinò cauto e silenzioso, non voleva spaventarla ulteriormente.
Si sedette ad un angolo del divano, e le sue gambe quasi sfioravano il capo di Melanie, mosso da delicati spasmi. Involontariamente e nel silenzio della notte, la mano di Rider si mosse ad accarezzare delicatamente la testa della ragazza, che trattenne il respiro.

"Ho sistemato tutto" sussurrò Rider, pensando di poterla calmare.

La ragazza, invece, si sollevò di scatto, abbandonando la sua comoda postazione per prendere le distanze da Rider e scivolare di posizione.

"Ti rendi conto di ciò che è successo? A casa mia!" Quasi urlò, lasciando che il suo viso ricominciasse a riempirsi di lacrime.

Il ragazzo annuì, e Melanie poté scorgere un'espressione annoiata sul suo viso.

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