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È quasi mezzanotte. La stanza in cui mi trovo è immersa nel buio. L'unica fonte di luce, è quella della luna piena, che si riflette sui vetri delle finestre.

La dottoressa Montgomery ha deciso di tenermi sotto osservazione per stanotte. Dice che è solo per prevenzione e, soprattutto, per evitare che mi stressi troppo. Cosa per niente facile. Continuo a passeggiare per tutta l'area della camera, come un'anima in pena. Sono preoccupata. Alex non ha avuto nessuna crisi, per fortuna, ma non è neanche migliorato.

Mi sento così impotente.

Prendo il cellulare. Ho cinque chiamate perse da mia sorella e un messaggio in cui mi chiede di richiamarla il prima possibile. Non aspetto oltre.

- Isabel, finalmente! - esclama, in preda al panico. - Dove sei? Stai bene? Tutti i notiziari parlano di Kaleb e...e di te... -

Sentire pronunciare il nome di Kaleb mi fa sussultare. Non ho avuto il coraggio di partecipare al suo funerale. Che codarda. E questo, perché so che se è morto la colpa è solo mia. Mi sento un verme.

- Isabel? -

- Sì. -

- Come stai? -

Sospiro. - Bene, non preoccuparti. Sono solo un po' scossa. -

- Papà vuole che veniamo lì il prima possibile. Ci ha prenotato un jet privato, perché dice che è troppo pericoloso viaggiare su un aereo di linea. - fa una breve pausa, come a soppesare le sue prossime parole. - Era...strano. -

Mi acciglio. - In che senso? -

- Non lo so...sembrava quasi scocciato. E...niente, lascia perdere. -

- No, adesso me lo dici, Ivy! -

- Beh... ha detto una cosa brutta. -

- Cosa? -

- Che non meriti quello che sta facendo per te. -

Avete presente l'esplosione di un oggetto di vetro? Il suono stridulo e secco che produce? Ecco, è esattamente quello che è appena successo alla mia anima. Frantumata in mille pezzi. Crack. Finito. Solo residui taglienti.

Mi siedo sul bordo del letto, ansimando. Sto avendo un attacco di panico e non posso permettermelo. Appoggio la mano libera sullo stomaco e chiudo gli occhi.

Pensa al bambino, Isabel. Pensa al bambino. Calmati. Respira. Inspira. Espira. Forza, non cedere allo shock. Pensa al bambino.

E, per quanto ci pensi, ora ho solo voglia di tagliarmi. Ma non lo farò. Per mio figlio. Devo cambiare per lui, o lei. Non avrà una madre così debole.

- Ivy? -

- Non avrei dovuto dirtelo, mi dispiace. - dalla sua voce si capisce che è davvero triste. - Se mamma non avesse preso il telefono, starei ancora urlando con lui, sai? -

- Lascia perdere. Siate prudenti, ok? -

- Ma... -

Riaggancio, senza lasciarla finire. Se voglio calmarmi, devo chiuderla qui.

Non meriti quello che sta facendo per te.

Con quale faccia, sputa veleno su di me? Lui, che ha sempre voluto che fossi chi non ero. Lui, che voleva un figlio maschio e ha usato me come capro espiatorio. Lui, che ha cercato di plasmarmi a sua immagine e somiglianza senza riuscirci.

È colpa sua se sono finita in un brutto giro. È colpa sua se oggi, a quasi trent'anni, ho il corpo martoriato di cicatrici che mi sono auto-inflitta. È colpa sua, se non merito quello che sta facendo per me.

I belong to youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora