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- Non voglio vederli. - borbotta Alex, mettendo il broncio. - Sono spariti per trent'anni, cosa diavolo vogliono, adesso? -

- Senti, lo so che è difficile, ma senza tuo padre... -

- Vincent. - mi interrompe, secco. - Solo Vincent, non è ancora mio padre e, con molta probabilità, non lo sarà mai. -

Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo. Parla così perché è arrabbiato, ma quando sarà anche lui un padre a tutti gli effetti cambierà idea. - Vincent. - mi correggo. - E' ancora uno dei Vicedirettori della CIA ed è l'unico che può aiutarci. -

- Beh, può farlo anche senza parlarmi direttamente. -

- La pianti di fare il moccioso viziato, per favore? - sbuffo e mi avvicino alla finestra per sbollire un po'. Lo amo, capisco il suo punto di vista, ma quando fa così è impossibile. Cocciuto come un mulo. Spero che il bambino non abbia il suo stesso caratteraccio, altrimenti saranno cavoli miei.

- Mi hai davvero dato del moccioso viziato? - farfuglia.

Guardo il suo riflesso attraverso il vetro. Ha un muso lungo degno di un bambino che ha appena combinato un guaio ed è stato miseramente scoperto con le mani nel sacco. Mi pizzico le labbra, cercando in tutti i modi di non scoppiare a ridere istericamente.

Allunga un braccio per prendere il caffè dal comodino, ma non ci riesce per via dei punti alle ferite. Prova con l'altra mano, ma non ci arriva. Fa un lungo sospiro e chiude gli occhi. È troppo orgoglioso per chiederlo a me. Non dopo che gli ho dato del moccioso viziato. Vedremo quanto resisterà.

Fin dal nostro primo incontro, tra noi è stata una sfida continua. Ho perso il conto di quante ce ne sono state. E stavolta, lo so, vincerò io.

Apro leggermente la finestra per prendere una boccata d'aria. Negli ospedali sembra che l'ossigeno sia ridotto. O forse, è la gravidanza che mi fa questo effetto. Beh, non ne ho idea, fatto sta che ho caldo.

- Dolcezza? -

Mi mordo il labbro. Non ridere, Isabel. Non ridere. - Mmh? -

- Vieni qui. -

- Cosa c'è? -

- Vieni qui. - ripete. - Hai ragione, mi sono comportato da moccioso viziato. -

Mi volto e lo raggiungo. Sta girando intorno al problema, lo so. Ma non gli chiederò se vuole quel dannato caffè.

- Potresti aiutarmi? -

- A fare cosa? -

- A... - cerca di mettersi seduto.

- Aspetta, fa' piano. - lascio che faccia leva su di me, non rendendomi subito conto che si tratta di una stupida trappola. Mi tiro subito indietro, ma è già troppo tardi. È riuscito a prendere il bicchiere. - Oh, non ci posso credere! - sbraito.

Alex scoppia a ridere, quasi strozzandosi con il caffè. Tossisce, tenendosi la ferita al fianco. - Ahi...cazzo... -

- Ti sta bene. - bofonchio.

- Dai, amore mio, vieni a darmi un bacio. - allarga le braccia e sporge le labbra con fare teatrale. Quando vede che non ho nessuna intenzione di muovermi, mi afferra per la cintura dei pantaloni e mi tira a sé. Perdo l'equilibrio e gli piombo addosso. Riesco ad aggrapparmi alla sbarra del letto appena in tempo per evitare di fargli male. Sfrega la guancia ruvida contro la mia e mi dà una marea di baci per spegnere il fuoco che ha lasciato la sua barba. - Oggi non ti ho ancora detto che ti amo, vero? -

- No, non l'hai fatto, in effetti. - ridacchio.

- Ho tutta l'intenzione di recuperare. - mi morde il lobo dell'orecchio. - Ti amo, dolcezza. -

I belong to youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora