XX. Un banchetto per corvi

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Tutto intorno a Lionel, la battaglia infuriava ancora.
Preso dal suo scontro con Nikolaj, non se ne era reso conto finché non aveva abbandonato il fratello, forse morente, in mezzo al fango.

Brevemente, il principe rivolse una preghiera al cielo affinché Nikolaj non soccombesse alla sua ferita, e, una volta rimessosi, riconoscesse i suoi errori.
Sapeva che era solo una flebile speranza, destinata quasi certamente a rimanere tale.
Forse era da sciocchi avere ancora fede, dopo tutti i mali che aveva visto e compiuto, ma Lionel decise di averla comunque.
Se Nikolaj fosse morto, avrebbe commesso un crimine imperdonabile, avrebbe ucciso suo fratello.
Se fosse sopravvissuto e non si fosse pentito, avrebbe lasciato vivere un mostro, un'azione forse persino più empia.
Non aveva altro modo di mantenere il sangue freddo se non quello di avere fiducia, in qualcosa, qualcuno, che avrebbe fatto si che tutto andasse come doveva andare.

Dopodiché, tornò alla realtà, ma forse avrebbe preferito non farlo.
Tutto intorno, i soldati giacevano a terra inerti, molti di loro circondati da pozze di sangue e altri fluidi corporei da cui proveniva un lezzo disgustoso.
Dalle loro armature, Lionel poté riconoscere che la maggior parte dei caduti erano uomini di Merithia.
Molti altri combattevano ancora.
Con lo sguardo, il principe cercò Magnus.
Lo cercò tra i vivi, incapace di guardare tra coloro che, invece, non ce l'avevano fatta.
Il pensiero di trovarlo tra i corpi senza vita dei soldati, un ragazzo di appena sedici anni, di dover portare ad Astrid la notizia che il suo amato fratello era morto, lo faceva rabbrividire.

Improvvisamente, il riflesso della luce solare lo colpì agli occhi, abbagliandolo per un istante, ma non appena vide che cosa ne era stato la causa, Lionel sentì la presa invisibile che lo aveva attanagliato allo stomaco finalmente allentarsi.

Seppe che era lui anche da lontano, poiché la corona dorata, che gli cingeva il capo nonostante indossasse l'elmo, non dava grande spazio al dubbio sull'identità di chi la portava.
La sua scorta gli stava appresso, posizionata a formare un cerchio difensivo intorno al proprio sovrano. Contro di essa si stavano scagliando una decina di soldati di Estelle.
Ovunque Lionel guardasse, questi ultimi superavano in numero quelli di Merithia.
Si rese conto che i merithiani stavano perdendo.
Perché Magnus, o uno dei suoi generali, non ordinava la ritirata?
Doveva raggiungere il re, decise. Doveva dirgli che dovevano ritirarsi, prima di diventare il prossimo pasto dei corvi che già iniziavano a sorvolare in cerchio la pianura, attratti dai cadaveri come i bambini lo erano dall'odore di un dolcetto appena sfornato.

L'armatura rendeva ogni suo passo più pesante, ma nonostante ciò Lionel corse, facendosi largo con la spada tra fanti e cavalieri, finché non giunse alla sua destinazione, al re.

"Magnus!" lo chiamò, e al diavolo le formalità, "Dovete ordinare la ritirata!"

"Perché dovremmo fidarci di voi?" chiese tuttavia una delle guardie della scorta, con il tono arrogante di chi credeva di saperne di più, senza distogliere per un attimo lo sguardo dal nemico che stava affrontando, "Chi può dirci se voi siete davvero dalla nostra parte?"

Parando il colpo assestato da un soldato di Estelle, Lionel replicò "È proprio perché sono dalla vostra parte che vi consiglio la ritirata."
Parò un altro attacco, e, sfruttando il momentaneo disorientamento del ragazzo, lo costrinse ad arretrare colpendolo di piatto con la propria lama.
"Se non ce ne andiamo, l'esercito sarà presto decimato. Non vedete quanti uomini abbiamo già perduto? Non possiamo resistere così!"

Magnus si guardò intorno, come se stesse vedendo ciò che lo circondava per la prima volta. Forse era così, e, dopotutto, Lionel non poteva fargliene una colpa.
C'erano nemici ovunque, troppi per potersi concentrare anche su quelli che non si stavano affrontando al momento.

Un Rubino per la Regina Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora