Sᵘʳᵛⁱᵛᵃˡ

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Steve. Rebecca. Questi nomi gli echeggiarono la mente prima di potersi rimettere nella culla di vetro. Non poteva ricordarsene, perché al suo risveglio gli avrebbero fatto un ulteriore lavaggio del cervello. Fu così ogni volta e per i primi venti anni di prigionia si sentì un burattino. Un robot senza passato, senza futuro. Nei primi anni settanta gli affidarono il primo compito di spionaggio. Fu mandato a New York ad uccidere un ex generale che aveva deviato il suo compito. Avviarono l'omicida che avevano addestrato grazie a delle parole russe che lo fecero scattare. "Buongiorno, soldato" commentò Karpov, richiudendo il libro rosso con la stella nera.

"Pronto ad ubbidire" rispose lui, immobile. Lo sguardo spento e imperscrutabile. "Andrai in America a svolgere una missione importante. Sei addestrato, sei pronto". Fissò davanti a lui senza battere ciglio. In qualche ora si ritrovò a New York, armato fino ai denti di armi e munizioni. Non gli servirono, poiché il bersaglio si dimostrò vulnerabile. Gli spezzò il collo in pochi secondi, restando a guardarlo esanime sul pavimento. Nel contempo, dalla stanza accanto udì un flebile suono provenire da un giradischi. La puntina si inceppò su di una strofa in particolare. Il soldato era scettico, ma il suo cervello ne riconobbe il suono mostrandogli dei frammenti del suo passato. Steve. Rebecca.

Rivide le due persone più importanti per lui, però non riuscì ad associar loro dei nomi. Avevano solo un volto, una voce, un sorriso. A missione compiuta, si ritrovò a vagare per le strade di New York con un insolito senso di nostalgia. Lui viveva lì tanti anni prima, e i suoi piedi riconobbero la strada che portava al suo appartamento a Brookyln. Karpov lo richiamò dall'auricolare, non ricevendo alcuna risposta. Intanto che il KGB mandò una squadra a prelevarlo, James si sedette ad una panchina, osservando un edificio con occhi curiosi e smemorati. Era un vecchio nascondiglio scoperto da Steve, un giorno che stava scappando dai soliti bulletti che volevano picchiarlo. Lui era solito cacciarsi nei guai e la maggior parte delle volte ne usciva incolume grazie al migliore amico, leggermente più responsabile e assennato. Karpov lo recuperò, strattonandolo nell'elicottero. 

"Rapporto missione?"

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"Rapporto missione?". Non gli diede una risposta. Non ricordava cosa fosse accaduto prima di aver udito la canzone al giradischi. "Io conosco questo posto" iniziò a dire, preoccupando Karpov e la sua squadra. "Ci sei già stato qualche anno fa, sì. Per un'altra missione". "No, c'è molto altro dietro. Ho visto un ragazzo ed una ragazza, entrambi biondi. Occhi chiari...". Il generale non rispose. Atterrarono a Mosca e lo misero di nuovo in stasi, considerandolo instabile mentalmente. "Non è ancora pronto a questo genere di missioni e, per favore, non mandatelo di nuovo in America. Abbiamo bisogno di lui, del soldato d'inverno e non del sergente piagnucolone". Entrò nuovamente nella culla di vetro, e digrignando i denti assorbì il gelo che provenne dalle bocchette dell'aria. Il freddo si impossessò di lui, del suo corpo giovane e contemporaneamente vecchio.

Quando si risvegliò, come ogni volta non sapeva che anno fosse, non conosceva il posto in cui era, non riconobbe nessuno di quelli che lo circondavano. Lo fecero sedere, premendogli delle piastre sulle tempie. Urlò intanto che il generale lesse quella strana combinazione di parole. Negli anni aveva imparato diverse lingue, lo avevano addestrato a combattere, a sopravvivere. Sapeva guidare qualsiasi tipo di veicolo. Il soldato d'inverno era imbattibile. "Dobroye utro, soldat". "Ya zdu prikazanij". Gli accennò che aveva una nuova missione. Non doveva lasciare testimoni. Doveva attaccare, prendere e uccidere, se necessario. Era dicembre, stava nevicando e lui si mosse per le strade innevate conla moto, sfrecciando a destra e sinistra per tampinare un'auto. Non gli avevano detto molto. Doveva prelevare qualcosa dal bagagliaio. Una valigetta che conteneva qualcosa di importante per gli agenti del KGB. 

Mandò l'auto fuori strada, ma il conducente e la moglie non morirono sul colpo

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Mandò l'auto fuori strada, ma il conducente e la moglie non morirono sul colpo. Avrebbe dovuto ucciderli con le sue mani. Si avvicinò prima all'autista che con la ferita sanguinante alla fronte lo osservò con sorpresa. "Sergente Barnes?". Lui non poté fare molto, il corpo e la mente gli stavano dicendo di ucciderlo, senza rimorsi. Lo picchiò selvaggiamente, sotto gli occhi della moglie che sofferente chiamò il suo nome. Il soldato d'inverno andò da lei, strangolandola. Era quello il suo compito? Era nato per uccidere innocenti? Raggiunse il bagagliaio per poter prelevare la valigetta. Solo quando tornò dal generale Karpov la aprì, mostrandogli tre sieri del super-soldato. Stavano creando altri come lui. Quegli anni si dimostrarono essere solo l'inizio. Qualcosa di oscuro avevano in mente, e le due persone nell'auto non sarebbero state le sue uniche vittime. Il sergente James Barnes era morto quel giorno del 1944, ed un nuovo spietato assassino era rinato dalle sue ceneri, rendendolo innominabile e impetuoso.  

𝐁𝐨𝐫𝐧 𝐭𝐨 𝐛𝐞 𝐭𝐡𝐞 𝐖𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫 𝐒𝐨𝐥𝐝𝐢𝐞𝐫 | Libro TerzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora