Capitolo Diciannovesimo - Parte Seconda: Non più lo stesso

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Avrebbe preferito negarlo, eppure le fu impossibile

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Avrebbe preferito negarlo, eppure le fu impossibile. Sin dall'istante in cui Noah aveva oltrepassato la soglia dell'università i suoi occhi non erano riusciti a perderlo di vista - e più le si era fatto vicino, più distogliere lo sguardo le era stato difficile. La sua figura era diventata una sorta calamita per lei, un magnete a cui le veniva impossibile resistere anche se avrebbe voluto.
Stava cercando in lui qualcosa, un segno, tracce dell'uomo che aveva conosciuto e con cui aveva convissuto per quasi tre secoli, eppure ogni volta che si era soffermata a fissarlo le era parso impossibile trovare un appiglio; ad essere del tutto onesta, quell'Hagufah non aveva nulla a che fare con i precedenti, ma non avrebbe saputo spiegarsi in cosa, esattamente, differissero.
Che Noah fosse un bel vedere era cosa indiscutibile, ma c'erano stati altri corpi altrettanto ammalianti prima di lui, così come ce ne erano stati di più particolari, strani, anonimi o disarmonici con l'essenza del Re e, per questo, Alexandria non riusciva a capacitarsi di come le venisse complicato guardare altrove. Più se lo domandava, meno capiva e, a un tratto, anche lui sembrò accorgersi del suo sguardo.

«Ho qualcosa in faccia?»
A quella domanda Z'év sussultò.
Svelta spostò l'attenzione sull'asfalto del marciapiede, quasi fingendo di non aver mai posato gli occhi su di lui e, in un soffio, si lasciò sfuggire un "no" secco, infastidito. Non aveva alcuna intenzione di esporsi, di dargli l'illusione di provare per lui quell'inspiegabile magnetismo che Levi avrebbe definito come "appartenenza"; lo aveva già fatto più volte in quei giorni, così tentò di tagliare corto.
Staccarsi dal muro a cui era rimasta appoggiata per l'ultima ora, la Chimera mosse i primi passi in direzione della fermata del bus, cercando in vano di fuggire da lui, dalla sua presenza perché, a dire il vero, Noah la metteva a disagio, terribilmente - e il fatto che non riuscisse a ritrovare in lui alcuna traccia di Salomone, pur provando quella miriade di emozioni, era un aggravante ancor più difficile da ignorare.
Già dal loro primo incontro, infatti, quella sensazione si era fatta largo in lei al pari della marea e, con l'andare dei giorni, non si era affatto placata, diventando sempre più simile a un maremoto.
Nell'auditorium le era parso che l'unico filo di speranza a cui era rimasta aggrappata per quegli anni si fosse infine definitivamente spezzato, facendola allontanare dalla riva; ed era stato l'Hagufah stesso a reciderlo, condannandola. Già, perché quando i suoi occhi le si erano posati addosso, senza riconoscerla, le onde avevano ripreso a fare il loro dovere facendola disperdere in un mare di inspiegabili dubbi e paure. Una parte di lei le aveva detto che di quella situazione avrebbe piuttosto dovuto gioire, sentirsi confortata: in fin dei conti se il Re non si ricordava di lei, di ciò che era accaduto, non poteva accusarla di nulla, ma non era stato così. Non era così. Il fatto che Noah non avesse alcun ricordo di lei significava che non avrebbero mai potuto parlare di ciò che era successo e, quindi, non avrebbe mai potuto ottenere il suo perdono o la sua condanna, loro non...

«Qualcosa non va?»
La voce del ragazzo la fece nuovamente sussultare, riportandola con brutalità al presente. Nemmeno si era resa conto di essersi persa nei propri pensieri, troppo a disagio per poter prestare reale attenzione alla situazione.
«No» soffiò ancora, questa volta allungando il passo e cercando di mettere più distanza tra sé e il giovane. D'improvviso si era accorta dell'estrema vicinanza di lui al proprio corpo, dello spazio che gli aveva permesso di accorciare, e ne ebbe timore: chissà se toccandola avrebbe potuto scatenare qualcosa, farle male.

Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora