Capitolo Ventisettesimo - Parte Quarta: Wòréb

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Un lampadario

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Un lampadario.
Quando gli occhi di Noah si riaprirono la prima cosa che vide fu quella sagoma nella penombra. I cristalli pendenti oscillavano dolcemente sopra di lui, gettando scintillii tenui sul soffitto.
Per qualche istante rimase fermo a osservarli, incapace di distinguere la realtà dal sogno, poi corrugò le sopracciglia, confuso. Una volta resosi conto d'esser sveglio provò a capire in che modo fosse finito lì, ma faticava a ricordare gli istanti prima di quel momento e non si capacitava di come dal tramonto fossero passati a... si guardò attorno. Non c'erano orologi nella stanza in cui lo avevano coricato, solo un arredo modesto appartenente a chissà quale epoca passata ridipinto per farlo sembrare meno datato. Le lenzuola con cui era stato coperto profumavano di sapone di Marsilia e attorno sentiva solo l'eco lieve di una musica priva di parole.
Si mise a sedere.
Lo specchio sul piccolo armadio davanti al letto gli rimandò indietro un'immagine stropicciata di sé. Per quel poco che riusciva a distinguere notò che aveva i capelli scompigliati, il viso leggermente gonfio per il sonno e addosso la maglia con cui aveva viaggiato. Sul comodino erano appoggiati il suo cellulare, il caricatore e un abat-jour simile a quelle che aveva visto solo sulle bancarelle durante i mercatini delle pulci. Con il polpastrello ne sfiorò un angolo, certo che se non fosse stato cauto l'avrebbe rotta. Nello scivolare lungo il paralume si accorse della piega involontaria che avevano preso le sue labbra e, dubbioso, interruppe il contatto tra il dito e la stoffa. Quella stanza, seppur mai vista prima, d'un tratto gli generò in petto una sorta di nostalgia e gli venne naturale paragonare la sensazione che stava provando a quella che si poteva provare tornando a casa dei nonni dopo anni d'assenza. Conosceva quel luogo nonostante gli fosse estraneo e, quando distrattamente il suo sguardo incrociò la piccola scrivania sotto la finestra, avvertì il cuore stringersi maggiormente. Istintivamente si trascinò sul materasso, appoggiò i piedi a terra e allungò una mano per sfiorarne il legno. Sotto i polpastrelli sentì scanalature innaturali, simboli che si intrecciavano tra di loro come parole scritte e riscritte sopra altre - e un conforto che gli sembrò latente da troppo tempo s'insinuò lungo le dita e il braccio fino a raggiungere il petto in tumulto dal suo risveglio.
Con la punta della lingua si bagnò le labbra secche.
Chissà quante lettere o ricerche il suo sé di decenni o secoli prima aveva redatto, curvo su quel pezzo di legno. Chissà se mai avrebbe ricordato quei giorni. Chiuse gli occhi e prese un grosso respiro.
L'aroma del legno e del detersivo si mischiarono alla traccia lieve di salsedine e, seguendo le necessità del suo corpo, allungò l'altra mano, quella libera. Noah si ritrovò ad aprire le imposte cigolanti, scoprendo così un cielo che già preannunciava l'alba - aveva dormito più di quanto si sarebbe immaginato e, con più preoccupazione, si domandò che fine avessero fatto gli altri. Li avrebbe trovati in qualche stanza, intenti a confabulare qualcosa? Oppure avevano finito con l'ammazzarsi a vicenda? A quell'ipotesi s'irrigidì. I ricordi del pomeriggio prima guizzarono uno a uno davanti ai suoi occhi: l'aggressione di Zenas, Colette, la mano insanguinata di Levi, le dita della quarta Chimera strette al suo viso, le parole rivolte ad Alex... una fitta alla tempia interruppe il flusso di pensieri. La mano che aveva usato per aprire le imposte gli sfiorò la fronte, premendo appena nel punto dolente.
Dannazione, come aveva fatto a perdere i sensi in un momento tanto cruciale? Cos'altro si era perso?
Mordendosi forte la lingua si voltò verso la porta, le sopracciglia nuovamente corrucciate. Qualunque cosa fosse successa dopo il suo svenimento, lui era rimasto illeso, pensò, quindi anche le Chimere dovevano star bene - ma aveva comunque bisogno di accertarsene.
Svelto si precipitò sulla maniglia di ferro, la strinse tra le dita tirandosela al petto prima di catapultarsi in un corridoio confortante, dai muri giallini e il pavimento in legno. Nemmeno dovette perder tempo a orientarsi. I suoi piedi nudi inseguirono leggeri la melodia che si faceva via via più intensa. Ad ogni nuovo passo le sue orecchie sembravano distinguer meglio il brano e, una volta arrivato sul limitare delle scale che collegavano il piano dove si trovava con quello che intuì essere il terra, si stupì nel sorridere e dare un nome alla composizione. Morgen! correva per le stanze della casa come un inno al nuovo giorno e Noah, ghignando ancor di più scuotendo il capo, si lasciò sfuggire un pensiero: Colette non cambiava mai. Richard Strauss era stato il suo grande amore musicale, aveva ascoltato i suoi brani così tante volte da poterli suonare lei stessa a memoria, eppure non si era mai stancata, nemmeno dopo tutto quel tempo.

Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora