Capitolo trentesimo - Parte Prima: Rebus

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"How did I read the stars so wrong
I'm wide awake

And now it's clear to me
That everything you see
Ain't always what it seems"

- Wide Awake, Katy Perry

Fuori dalla finestra il suono della brezza autunnale si faceva strada tra le fronde dei pochi alberi e i fili d'erba intorno alla casa, mentre il gracchiare di gabbiani stanchi balzava alle orecchie come un allarme

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Fuori dalla finestra il suono della brezza autunnale si faceva strada tra le fronde dei pochi alberi e i fili d'erba intorno alla casa, mentre il gracchiare di gabbiani stanchi balzava alle orecchie come un allarme. All'interno, invece, il silenzio faceva da padrone. Nel percorrere pigramente il solito corridoio e le scale che conducevano alla cucina, Noah si scoprì stranamente preoccupato. Un'agitazione inusuale gli pizzicò le piante dei piedi facendolo avanzare con circospezione mentre, dal piano inferiore, non arrivava nemmeno il suono familiare di Zenas ai fornelli.
L'Hagufah tese le orecchie provando a cogliere il minimo suono fuori posto - o un qualsiasi suono, a dire il vero -, perché non credeva possibile che fossero usciti tutti senza premurarsi di avvertirlo; non era da loro. Certo, la probabilità che avessero preferito non disturbarlo era plausibile, ma sicuramente conoscendo le Chimere dovevano avergli lasciato da qualche parte un bigliettino per rassicurarlo.
Entrò in cucina mozzando uno sbadiglio incontrollato e sperando vivamente di aver ragione, ma né sul tavolo né sul frigorifero trovò note a lui indirizzate. Nella stanza aleggiava solo il profumo di una tisana e della torta di mele abbandonata sul top del bancone, intonsa. La sfiorò con un dito, scoprendola calda. Ma come poteva essere possibile? Era stata lasciata lì senza che qualcuno si premurasse di tagliarla o metterla in un punto sicuro, lontana dalla minaccia delle mosche - che fosse successo qualcosa? Realizzandolo quell'ipotesi, Noah corrugò le sopracciglia. Qualcosa non andava, ne era sempre più certo, e una tenaglia gli strinse lo stomaco costringendolo a immaginare cosa potesse aver fatto allontanare le Chimere con tanta fretta. E le opzioni, come di consuetudine, erano ben poche.
«Ti prego,» soffiò rivolgendosi a un'entità astratta, avvertendo il prurito ai piedi aumentare: «fa che non sia successo nulla...» L'ipotesi più probabile che gli saltò alla mente fu quella che i membri del Cultus fossero nelle vicinanze. E non gli piacque, affatto, così si morse forte la lingua.
No, pensò dopo qualche secondo scrollando il capo, non doveva tirare conclusioni affrettate. Quelle creature avrebbero potuto stupirlo in un'infinità di modi, lo sapeva benissimo.

Alzò lo sguardo dalla torta, provando a mettere a tacere i pensieri peggiori.
Dietro al lavello la finestra dava sul retro della proprietà, deserta. Non vi era alcuna traccia di vita se non il gracchiare fastidioso dei gabbiani che gli diede ai nervi.
Doveva indagare meglio, si disse, doveva avere la certezza che non fosse accaduto qualcosa di grave e, in caso, prepararsi al peggio prima che questi potesse bussare alla porta.
Noah si volse, ritornando a grosse falcate nel corridoio e spingendosi fin dentro al salotto dove Colette aveva quasi ucciso il fratello.
Si guardò attorno. Il suo sguardo passò da una mensola all'altra, tra le copertine dei libri e cadde sul divano dove una rivista di interior design se ne stava aperta su un articolo riguardante la perfetta scelta delle tende. Sotto le sue pagine, la sagoma di un sedere.
Sì, i suoi coinquilini dovevano essere andati via in fretta, preoccupandosi poco di non lasciare tracce.

Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora