Capitolo Ventiquattresimo - Parte Seconda: Parti di una medesima anima

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raggiungere l'abitazione di Noah fu impresa meno facile di quello che si sarebbero potuti aspettare

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...raggiungere l'abitazione di Noah fu impresa meno facile di quello che si sarebbero potuti aspettare. Zenas arrancava, a ogni passo persino la sua gamba buona sembrava cedere - e Alex dava l'idea di essere altrettanto provata. La sua fronte brillava sotto i timidi raggi dei lampioni, la sua bocca stava aperta come quella di una bestia dopo una lunga corsa e fin troppo spesso strizzava gli occhi per riuscire a mettere a fuoco ciò che aveva di fronte. Era impossibile negare che avessero bisogno delle cure di Salomone, ma sfortunatamente dovevano sopportare ancora gli ultimi metri che li separavano dall'appartamento. Era lì, giusto a qualche falcata. In meno di una manciata di minuti avrebbero oltrepassato la soglia dell'edificio e a quel punto... beh, a quel punto ci sarebbero state tre rampe di scale ad attenderli. E di fronte a quella prospettiva Akràv si sentì scoraggiare. In altre circostanze sarebbe stato una sciocchezza fare quella strada, lo sapeva, ma d'improvviso ciò che li aspettava aveva più l'aspetto di una sfida.
Dannazione, imprecò tra sé e sé, sfiduciato innanzi a tutto ciò, ma poi un pensiero gli solleticò la mente: Levi era in casa, avrebbe potuto correre da loro liberando Z'èv dal gravoso compito di trascinarlo su per i gradini. Lui e Noah certamente avrebbero fatto meno fatica, sarebbero stati più veloci. Un colosso del suo calibro lo avrebbero issato quasi come un fuscello e una volta nell'appartamento, al sicuro, si sarebbero potuti riposare.

«Lamarebeh hamazal atah bileti enoshiyim, bileti nitanim la'atsirah, o sheani to'eh (fortunatamente siete inumani e dovreste essere invincibili, o mi sbaglio)?» in un fiato che pareva una sorta di risata spezzata, la voce di Noah interruppe i suoi pensieri e quelli della sorella, che sussultò accanto a lui presa alla medesima sprovvista. L'Hagufah non aveva usato il suo solito tono, piuttosto quello di un sé passato, lontano, che nemmeno Zenas riusciva a ricordare con nitidezza; persino la sua lingua si era prostrata a un alfabeto diverso, così familiare e al contempo inusuale da lasciarlo perplesso - e si chiese ancora chi ci fosse al loro fianco in quel momento, se Noah Dietrich o il Re d'Israele. Probabilmente se fosse stato più lucido, come era Alexandria, glielo avrebbe chiesto insieme a decine di altre cose, ma invece tacque, soffocando a propria volta l'ilarità.
«Ha-hayita ts-tsarikhe lekhashuv 'al z-eh lifnê (dovevi pensarci prima)» sputò tra un affanno e l'altro, parlando quasi con un vecchio amico.

«Khosser shiqul da'att shel tse'irim (errori di gioventù)» un altro ghigno, stavolta più evidente, ovvio, tanto che il tempo parve riavvolgersi su se stesso, portarli indietro fino a epoche dimenticate, ingiallite insieme alle pagine dei libri di storia. Akràv sentì il cuore perdere un colpo, poi stringersi e far esplodere un'emozione che gli inumidì gli occhi. I piedi si scontrarono, arrancò ancora e obbligò i suoi compagni a rallentare, ma dannazione! Quel bastardo di Levi alla fine aveva ragione.

«Veyesh lenatush otanu (e abbandonarci)?» la voce di Alexandria sembrò il fruscio del vento. Se non l'avesse avuta tanto vicina probabilmente nemmeno si sarebbe accorto di quella domanda così pesante e al contempo leggera. La stretta nel petto aumentò e ciò che stava provando cambiò, si attenuò fino a diventare altro.
Malinconia.
Amarezza.
Nostalgia.
Forse pure una punta di dolore.
Alla fine la sua lucidità aveva avuto la meglio.

Le Chimere di Salomone: il ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora