Capitolo Sei

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Quel weekend lo passai in silenzio, pensando a come comportarmi per riprendermi dalle settimane precedenti. In passato evitare i problemi era servito, a poco, ma era servito. Non avevo più voglia dei drammi, e del dover interpretare i comportamenti degli altri. 

Dicono sempre che le persone migliori sono quelle che nascondono un mondo dentro, ma io ero stanca delle cose nascoste, dei segreti, dei sentimenti celati e delle parole non dette. Qualche giorno dopo la serata al bar pensai che forse ero stata troppo dura con Elijah, ma cacciai ben presto quel pensiero dalla mia testa perché non avevo più voglia dei teatrini da adolescenti: erano passati ormai gli anni del liceo e delle sceneggiate come quelle delle settimane precedenti. 

Decisi di dedicarmi di nuovo alla scuola, ai corsi e soprattutto la mia scrittura. Nella mia famiglia nessuno vedeva di buon occhio questa mia passione e nessuno pensava che ci avrei potuto vivere. Mia madre sperava mi iscrivessi alla facoltà di economia e mio padre a quella di medicina. Tutto tranne l'esercito e lettere o arti figurative. Almeno di quest' ultima pensavano che ci fossero più possibilità di guadagnare qualcosa. 

Invece le parole scritte erano la mia specialità e mi facevano stare bene. Negli anni più brutti della mia vita, dai 13 ai 16, ogni volta che sentivo grida , pianti , vetri rotti, pugni contro i muri e porte sbattute così forte da far tremare le pareti, mi rifugiavo nella musica e nella scrittura. Penso che nei miei quaderni delle superiori ci siano libri i libri interi che potrei anche far pubblicare se solo fossi stata più brava. 

Molte volte mandai i miei saggi per le competizioni della scuola oh per il giornalino ma appena leggevano il mio nome venivo scartata e questa cosa mi faceva così male che per un certo periodo di tempo non toccai più una penna. Mi rifiutavo di scrivere sia in classe, che a casa per conto mio. Quello fu il periodo più brutto: quando neanche i miei amici , quei pochi che avevo e che mi erano veramente vicini, riuscivano a capirmi ad aiutarmi , ed io mi negavo l'unica cosa che mi faceva stare bene.

 Capii veramente che scrivere era quello che volevo fare quando un giorno dimenticai un testo che avevo scritto in una locanda del nostro paesino e pochi giorni dopo la trovai scritta su un giornale di poco conto; in quel momento però tutti ne parlavano ed erano entusiasti di questa piccola scrittrice anonima. Da quel giorno aprii gli occhi. 

Forse fu per quel motivo che mi trovai così bene con Rick quando ci frequentavamo: lui scriveva canzoni bellissime dal punto di vista lirico, che però non riusciva ad adattare dal punto di vista sonoro e io invece scrivevo testi veri e racconti veri ma che non riuscivo ad adattare a quello che volevano gli altri. Su quelle pagine c'era la verità nuda e cruda, quella che faceva male, quella che ti faceva aprire gli occhi, anzi che ti obbligava ad aprire gli occhi e che ti faceva sentire un po' una merda. Ed a nessuno piaceva, perché poi si rendevano tutti conto di non aver mai fatto abbastanza.

Così qualche giorno dopo, durante l'orario di ricevimento andai nell'ufficio del professor Holden, sperando lui non avesse completamente cambiato su di me e su quello che scrivevo.

Bussai alla porta e lui mi fece entrare. Rimasi sull'uscio della porta un po' incerta guardandomi le scarpe.

"Beh, che fai? Non entri?" mi chiese il professore. Allora entrai e chiusi la porta alla mie spalle.

"Volevo scusarmi per il mio comportamento, solo che la particolare situazione mi ha costretto ad intervenire. Non volevo lasciarla lì a parlare da solo." Lui mi interruppe subito facendomi cenno di sedermi. Ero rimasta in piedi come un'idiota, ancora in imbarazzo.

"Guarda che non ti devi scusare, e dammi del tu per favore. Sono più grande di un decennio e sono il tuo professore, è vero, però ho l'impressione che lavoreremo spesso insieme..." mi disse con una serenità che non avevo mai percepito in una figura come la sua. Al liceo per i primi due anni, i miei professori mi amavano: ero quella che studiava, tranquilla, con le amicizie giuste. Poi un tifone mi attraversò la vita e la mise sotto sopra, e cambiai. Non creavo problemi, ma non piacevo più.

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