Capitolo Quindici

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I giorni successivi si rivelarono peggio del ringraziamento stesso. Mi sentivo completamente esaurita di ogni buon proposito che mi ero portata dietro venendo a casa. Non sapevo come affrontare le persone in casa mia, e tantomeno quelle fuori. Mia madre aveva provato più volte a parlarmi, ma non ero interessata alle sue parole. Non rimpiangevo quello che avevo detto a cena quella sera, a nessuno di loro. Dopo dieci anni ero arrivata all'ultima goccia, ed ormai i vaso era traboccato. Volevo solo rimanere da sola, a fumare, ascoltare musica e scrivere. Avevo riempito di dolore le note del mio telefono, sperando che immagazzinandolo lì, sarebbe andato via, o quanto meno mi sarei sentita alleggerita, ma con scarsi risultati.

L'unico con cui avevo parlato era Thomas: se ci fu una cosa positiva dopo quella sera era lui. Vederlo difenderci in quel modo era stato veramente emozionante. Mi sembrava di essere tornata al liceo, quando lui, nonostante dicesse ai suoi amici che fossi fastidiosa, passava il tempo a difendermi con chi provava ad iniziare brutte litigate con me. Mi era sembrato di riavere il mio fratellone, quello che ammiravo ed amavo senza che lui sapesse.

Mi aveva portato un po' in giro e sperava che io mi riprendessi. Il fatto era che non sapevo da dove iniziare: dai nostri genitori, così egoisti e stupidi da voler salvare l'insalvabile, da Jackie che si era comportata malissimo con tutti, o da lui. Forse era quello che mi aveva ferito di più e probabilmente era quello che se ne rendeva conto di meno. Quei giorni mi chiamò tante volte. Smisi di contarle dopo la tredicesima, e così passò ai messaggi, che però non lessi nemmeno.

Avevo bisogno di allontanarmi completamente da lui, perché se stargli vicino significava ridurmi ad un corpo senza spirito, non ero interessata.

"Hey. Usciamo, vieni." Mi disse mio fratello facendo capolino nella mia stanza. Io annuì perché la sua non era una domanda, perciò mi buttai addosso una maglia nera e la mia giaccona. Non mi preoccupai del trucco o dei capelli. Non mi interessava. Sarei uscita solo per non rischiare di rimanere da sola con mia madre, che di sicuro avrebbe ritentato il dialogo.

"Allora. Che dici di riprenderti un po'?" mi disse lui mentre camminavamo lungo la via. Con le mani in tasca, alzai le spallucce e non proferii parola. Lui si fermò davanti a me. Mi guardò come se capisse cosa stessi vivendo ma non voleva essere troppo invadente per dirmelo.

"Quando sei tornata, il primo giorno, mi era sembrato di rivedere una cosa che non vedevo da tempo." Mi disse lui appoggiando la sua mano sulla mia spalla.

"Ah si?" gli chiesi senza troppo interesse.

"Sì. Ho rivisto lo sguardo felice della rompipalle di dodici anni che mi rubava le maglie dalla stanza, oppure che litigava con i miei amici solo perché voleva fare colpo sembrando una dura." Continuò lui sincero.

"Hey, io ero una dura. Lo sono ancora adesso. E comunque, come hai detto tu era tempo fa." Gli dissi io capendo dove voleva arrivare.

"Esatto, era tempo fa. Ma ho rivisto quello nemmeno una settimana fa. Eri felice Tara. E non mi puoi dire veramente che dipendeva da una ragazza che conosci da tre mesi, o dall'ennesima stronzata che hanno fatto i nostri genitori. Tantomeno da quel ragazzo." Replicò lui, animandosi in particolar modo.

E per la prima volta dissi ad alta voce quello che pensavo.

"Era più di un ragazzo." Mi guardai attorno perché sapevo che se avessi incrociato i suoi occhi azzurri in quel momento, sarei crollata. Di nuovo.

"Però la felicità te la sei costruita tu. Eri in pace. Serena. Perché rinunciare a tutto questo per loro?" disse lui agitandosi.

"Perché non ce la faccio più a reggere le mura del forte da sola Thomas!" gli urlai addosso. In mezzo alla strada. E lì, tutte le lacrime che avevo cercato di trattenere negli ultimi giorni uscirono fuori. Era un pianto incontrollato, con singhiozzi e tremolio delle voce. Tutto incluso.

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