Erano passate esattamente trecentosessanta ore e quarantacinque minuti dall'ultima volta in cui avevo visto Elijah. Non lo avevo incrociato in palestra, non lo avevo visto al Duce, non lo avevo visto per caso in giro per i campus, però lo avevo visto molte volte nei miei sogni. Lo vedevo che mi stringeva, e che mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Diceva che anche se non credeva nel destino, sapeva che il nostro stare insieme doveva essere stata una cosa scritta, perché tutto quello che ci faceva provare era così giusto.
Le cose non erano andate così però. Lui non si era fatto sentire, e nemmeno io. Avevo voglia di scrivergli e di dirgli di dimenticarci tutto perché eravamo davvero due idioti se pensavamo di poter rovinare tutto così.
Invece di farlo però mi buttai a capofitto nelle mille cose che dovevo fare: organizzai il mini trasloco con Jackie, che nel frattempo era stata dimessa dall'ospedale e si stava lentamente riprendendo sia dal trauma fisico che da quello psicologico. La notte faceva gli incubi e di giorno non se la sentiva di uscire per i segni sul volto. Il viso le si era sgonfiato ma era tappezzato di macchie violacee e gialle. Non era nella sua massima forma insomma. Io ero quasi guarita del tutto grazie a Dio, altrimenti Madison, a cui avevo raccontato tutto mi avrebbe picchiata se mi fossi presentata con occhi neri o punti in faccia al suo matrimonio.
In realtà si era molto preoccupata, mi aveva detto che sarebbe venuta da me, ma le dissi di aspettare perché era finito tutto bene e l'avrei vista la sera della prova della cerimonia, in meno di quarantotto ore. Poi sarei rimasta a casa per qualche settimana ed a gennaio sarei tornata carica per dare i vari esami.
Per la prima volta nella mia vita non vedevo l'ora di tornare a casa, perché sapevo che lì avrei avuto altro per la testa e non quei due maledetti occhi neri che mi stavano rovinando ogni notte di sonno da due settimane.
Jackie aveva ricevuto qualche messaggio da Elijah, ma lui non si era mai presentato al nuovo appartamento da quando ci eravamo trasferite.
Ryan era stato fondamentale per quella transizione. Senza chiedergli nulla, rispettando i nostri spazi, ci aveva aiutato e sia lui che suo fratello ci avevano fatto passare qualche serata in tranquillità venendo a trovarci. C'erano stati sguardi, conversazioni molto interessanti e qualche allenamento da quella notte all'ospedale, ma nulla di più. Sapeva che quello che provavo per Elijah non poteva sparire da un momento all'altro, ma mi aveva detto che era disposto ad esserci come amico, senza mettere condizioni.
Stare con lui era come respirare aria fresca, staccare il cervello. Non sapevo però se in quel momento fosse una cosa positiva, perché avevo bisogno di processare tutto quello che era successo.
Ero forse io quella sbagliata, se mi aspettavo che le cosa andassero diversamente?
Mi ritrovavo spesso dopo il lavoro a passare davanti a casa sua mentre tornavo a casa, chiedendomi cosa stesse facendo e se mi stesse pensando come io stavo pensando a lui. Ma dopo il decimo giorno senza sue notizie iniziai a sentirmi ridicola e cercai di mandare via ogni pensiero riguardante lui.
"Sicura che puoi stare da sola mentre io non ci sarò? Puoi ancora unirti a me..." dissi a Jackie mentre finivo di preparare le borse. Lei annuì sedendosi sul letto con me.
"L'ultima volta ho combinato solo casini ed anche se so che chiedendo scusa la tua famiglia potrebbe perdonarmi, ho anche io una famiglia che voglio vedere. Sono riuscita a comprare i biglietti per andare a casa e rintanarmi nella mia vecchia cameretta." Disse lei e non potevo che capirla.
Ricevette un messaggio ed improvvisamente si incupì. Capii subito che doveva essere Elijah, perché faceva sempre la stessa faccia quando le scriveva mentre era con me.
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CHIAROSCURO
ChickLitQuando arrivi a 20 anni senza aver mai vissuto un amore che ti consuma inizi a pensare di non essere "normale". Così si sente senza volerlo ammettere Tara Stone, che dopo aver passato la sua adolescenza confinata in una famiglia disfunzionale ed in...