Capitolo Ventinove

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La vita a volte ci gioca brutti scherzi. Quando pensavo finalmente di essere arrivata alla mia quiete personale, di aver attraccato al mio porto sicuro, ecco che tutto va in frantumi.

Non piangevo così tanto da quando ero una bambina piccola di otto anni e Lindsey Rush, una mia compagna di classe, mi aveva fatto cadere per terra. Non piangevo per il fatto di essermi sbucciata un ginocchio, ma perché mi ero rovinata le scarpette blu che il mio papà mi aveva comprato qualche giorno prima. Piansi per tre giorni, e nessuno era riuscito a calmarmi, perché mi sentivo come se mi avessero tolto qualcosa di speciale. Era come quando smetti di credere nelle fate, e ti sembra che tutto il castello di carte che ti eri costruita, improvvisamente crollò.

Elijah provò a parlarmi quando rientrai in casa dopo due ore, ma feci finta di dormire e lo sentii stendersi affianco a me.

"Scusami. Scusami Tara. Mi sento un idiota a non averci pensato. Non volevo riaprire delle vecchie ferite." Disse lui e sentivo che era sincero, ma non ero pronta a parlarne. Potevo sentire il suo fiato sul mio collo, ma per quanto volessi girarmi e lasciare andare quella paura maledetta, non lo feci.

Rimasi lì immobile, fino a quando non mi resi conto che lui si era addormentato e poi mi alzai dal letto.

Andai a cercare mio fratello e quando lo trovai, era ancora sveglio. Quando mi vide mi fece spazio nel letto ed io corsi da lui. Mi accoccolai e lui mi accarezzò i capelli.

"Non lo sapeva Tara..." mi disse lui ed io rimasi in silenzio.

"Io sono stato il primo a dirgli che poteva essere la strada giusta per lui, senza pensare a quello che altri potevano pensare." Mi disse lui ed io mi alzai di colpo.

"Cosa?" gli chiesi allibita. Come poteva consigliare ad Elijah di provare ad arruolarsi dopo quello che aveva passato? Ero senza parole.

"Dopo il matrimonio mi è venuto a parlare e mi ha spiegato che aveva questa idea da un po'. È innegabile che sarebbe più che portato Tara: fisicamente è perfetto, è tenace, forte anche psicologicamente. Darebbe la vita per proteggere le persone, soprattutto quelle che ama, e rimane molto fermo su quello in cui crede." Mi spiegò lui e sapevo che tutti i suoi punti erano corretti. Elijah era veramente il soldato perfetto, ma quello non cambiava nulla.

"Lo perderò. Come ho perso te, come abbiamo perso nostro padre, come nostra nonna ha perso il nonno. Anche se non ci rimanesse secco, non tornerà mai quello di prima." gli dissi e lui mi tirò di nuovo a se perché capì che mi stavo di nuovo agitando.

"Shh...non è detto Tara. Non puoi sapere come la vivrà lui. Ma la cosa più significativa che puoi fare è stargli vicino come sei stata vicino a me." Mi consigliò lui. Era egoistico da parte mia non voler passare di nuovo attraverso quell'incertezza e quella paura? Era davvero così sbagliato?

"Non so se ci riesco Thomas. Proprio perché l'ho vissuto con te, e tu sei mio fratello. Mi ricordo che certe notti, dopo che ci avevano comunicato che eri stato ferito e ti rimandavano a casa, non riuscivo a chiudere occhio, pensando ai peggio scenari. E vederti poi dal vivo è stata una pugnalata così forte, che ancora adesso la sento." Gli spiegai. Le lacrime ormai bagnavano il mio viso incontrollate. Cercai di asciugarle, ma scendevano ininterrotte. Rivivere quei momenti era la cosa più dolorosa che potessi fare in quel momento, ma era il mio modo di autoconvincermi che avevo ragione a pensarla in quel modo.

"Okay...cosa vuoi fare quindi?" mi chiese lui. Thomas era l'unica persona che poteva capire entrambi, ma sapevo che in quel momento non mi stava giudicando per qualsiasi scelta che io potessi fare.

Razionalizzai qualsiasi cosa. Ci pensai, e ci ripensai senza darmi pace.

"Devo andare via. Ora. Non posso affrontare questa cosa di nuovo. Non ci riesco. Perché lo amo così tanto Thomas. E so quanto mi farebbe male vederlo diventare un estraneo davanti ai miei occhi."

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