Capitolo 11

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Nello stesso momento, nella prigione dei Blood-Gobblers, Hope non smetteva di osservare la finestrella, ragionando e riflettendo sul da farsi, mentre il suo corpo era immobile il suo pensiero era in continuo movimento. Ripensava ai brillanti occhi verdi del marito, così terrorizzati mentre lei veniva portata via. Non aveva idea di cosa fosse successo dopo lo svenimento causato dagli Sterminatori, aveva una brutta sensazione addosso e voleva avere assolutamente un modo per ricevere informazioni dall'esterno per poter capire come agire per scappare da lì e tornare da Darren.
A tirarla fuori dai suoi pensieri fu la voce di Neyhla. «Certo che tu pensi davvero spesso.»
Hope girò lo sguardo verso quei occhi neri. «Vorrei avere informazioni dall'esterno, c'è un momento in cui ci fanno uscire?»
Neyhla fece spallucce e poi rispose: «Chi esce, non torna mai. Che io sappia sono poche le persone che sono state portate fuori di qui e poi sono tornate.»
Negli occhi blu della donna si accese una scintilla di speranza e domandò velocemente: «A te è mai capitato? E quando? Dove ti portano?»
«Sì, un paio di volte, ma solo una volta al mese» rispose l'aliena. «Ci portano fuori a fare delle visite per vedere com'è la gravidanza o l'attesa, non so perché ma ci tengono che la gravidanza proceda bene. L'analisi è fatta da uno di loro, sai, non sono così primitivi come abbiamo sempre sostenuto. Sono molto intelligenti e hanno diverse tecnologie, hanno un loro linguaggio e una loro gerarchia, sono una civiltà molto complessa, ma sono sempre stati definiti primitivi per la loro caratteristica di uccidere in un modo così violento.»
Hope annuì e rispose con uno sbuffo: «Come se poi le altre razze non uccidessero in un modo comunque orribile. Come fai a sapere tutto questo?»
«Li osservo, non posso fare altro finché resto qui.»
«Interessante» annuì Hope, grazie alle informazioni che poteva fornire quella Serke e alla sua abilità da Ribelle avrebbero potuto collaborare per uscire insieme da quel tremendo stato di prigionia. «Quindi...»
Non fece in tempo a formulare la domanda che si sentirono dei rumori al di là della parete, poi si accese una luce, che filtrava da una finestra che non era mai stata notata prima a causa della poca luminosità che c'era nella stanza. Era una porta di pesante acciaio con una finestrella in cima di spesso vetro, lo stesso fatto per le astronavi. Non c'erano maniglie, serrature, codici o altro su quella porta. Hope approfittò della luce per osservare bene la cella, era costruita nella roccia, era irregolare esattamente come il terreno su cui stavano. L'unica via di aria e di luce era quel buco notato la volta precedente.
Alla fine, la porta si aprì verso l'esterno un Blood-Gobblers entrò nella loro cella portando da mangiare, lasciò il vassoio per terra, poi uscì e richiuse la porta alle sue spalle con una codata, senza degnare le due di uno sguardo. Neyhla strisciò verso il vassoio, lo prese e poi tornò accanto a Hope dicendole: «So che fa schifo, ma c'è di peggio. Ci portano da mangiare una sola volta al giorno, l'ora cambia sempre.»
Hope non rispose e osservò il vassoio con un'attenzione minuziosa: due piatti piani fatti con un materiale debole e facilmente sfaldabile, nessun tipo di posate, avrebbero dovuto mangiare con le mani quella poltiglia viscida dal colore violaceo per nulla invitante, da cui saliva un odore che le fece venire la nausea.
Neyhla la osservò e poi sussurrò: «Devi mangiare, Hope. Non ha un buon odore e neanche il sapore è un granché, ma è nutriente. Ti serve, serve a te e al tuo piccolo.»
Hope riluttante provò a pulirsi le mani sfregandole sulla maglia, ma non migliorò la situazione. Alla fine con una smorfia di disgusto prese tra le mani quella sostanza viscida e ne assaggiò una piccola parte, non appena entrò in contatto con la lingua percepì un gusto aspro, ma il suo corpo sentiva il bisogno di mangiare e così si costrinse a ingerire e mangiare tenendo quella cosa in bocca il meno tempo possibile.
«Fa davvero schifo!» rispose Hope.
Neyhla annuì, ma nonostante il saporaccio, entrambe stavano davvero meglio dopo aver mangiato, Hope si accarezzava la pancia con un leggero sorriso, a stomaco pieno aveva energie per pensare e reagire.
Hope aveva iniziato da subito a segnare sulla pacerete quanto tempo era passato dall'attacco della X. "Già un mese è passato. Questo significa che sono al terzo mese di gravidanza. Devo sbrigarmi a uscire da qui o con la pancia grande non riuscirò mai a muovermi."
Posò gli occhi sull'amica e notò che quel giorno era particolarmente silenziosa e triste, si stringeva l'uovo tra le spire e tra le mani sfregando il guscio. Continuava a fare lunghi sospiri tristi e alla fine Hope le sfiorò la spalla chiedendole: «Cosa c'è che non va?»
La Serke alzò gli occhi neri, lucidi pieni di lacrime e sussurrò: «È freddo, è troppo freddo.»
Hope le si avvicinò e le sfregò le spalle per scaldarle, poi guardandosi intorno tentò di rassicurarla: «Lascia che ti aiuti.»
Hope prese il vassoio di acciaio, e la poltiglia sfaldata di quello che fino a un momento prima erano piatti, era tiepida e come una crema la spalmava sul guscio, poi fece appoggiare la coda dell'alieno sul vassoio ancora moderatamente caldo, Neyhla fece in modo da formare un nido alto con le sue spire per riscaldare l'uovo e alla fine lo appoggiò lì in mezzo, lo abbracciò anche con il petto e le braccia, dall'altro lato, per aiutarla, anche Hope l'abbracciò per riscaldare l'altro lato. Rimasero così abbracciate con in mezzo l'uovo per diverso tempo, Neyhla aveva gli occhi lucidi per l'aiuto ricevuto e finalmente sussurrò: «Lo sento di nuovo, non è più freddo dentro. Grazie Hope.»
Successivamente baciò con estrema delicatezza il guscio e sussurrò: «Resisti piccolo, la mamma è qui e ti protegge con una cara amica.»
Hope rimase in silenzio e fece un sospiro pensando a Darren, avrebbe voluto essere tra le sue braccia, ma i suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da quei rumori al di fuori della porta. Si aprì con violenza e sbattendo, due Blood-Gobblers entrarono nella stanza, vederli da vicino e senza che attaccassero era strano. Uno andò da Hope e l'altro da Neyhla, le liberano dalle catene e le portarono fuori, uno a destra e l'altro a sinistra, Neyhla camminava con lo sguardo basso, stringendo al petto l'uovo, finalmente con la coda libera per potersi muovere.
La luce artificiale le investì non appena varcarono la soglia, dovettero fare i primi passi a occhi semichiusi prima che questi si abituassero. Hope si guardò attorno, era un corridoio costruito nella roccia, come la sua cella, e c'erano tantissime altre porte d'acciaio ai lati, in cui si sentivano rumori e grida. Non ci voleva uno scienziato per capire che erano altre prigioni, lì dentro c'erano i suoi compagni e tanti altri e lei avrebbe dovuto trovare il modo per liberarli. Continuarono lungo il corridoio senza curvare mai, sempre dritto fino a una porta grande, che si aprì davanti a loro scoprendo finalmente l'aria aperta.
La prima cosa che fece Hope fu alzare gli occhi al cielo, voleva vedere le stelle. La sua stella. Ma era pieno giorno, il sole era accecante e rosso fuoco, era molto vicino al pianeta a giudicare dalla grandezza della stella, finalmente capiva il perché di quella calura. Quel giorno non c'erano nuvole e il cielo era rossiccio , non c'era vegetazione là intorno, solo tanta roccia, davanti a loro poi si ergeva una struttura monumentale. Hope rimase a bocca aperta, inizialmente vedeva solo l'ombra, ma man mano che si avvicinava notava sempre più dettagli. Erano diverse forme semicircolari costruite una sopra l'altra, con la punta delle cupole leggermente schiacciate. Erano di un colore chiaro, un marroncino, che le ricordava la sabbia. C'erano tanti diversi buchi che facevano entrare la luce, ma non erano molti, a causa del caldo torrido. La ragazza si guardò intorno in cerca di punti di riferimento: a destra c'era una landa desolata, iniziava un deserto, nulla di nulla per chilometri e ogni tanto si poteva scorgere un qualche tronco di una vegetazione ormai secca venire lentamente seppellita dal terreno roccioso; alla sua sinistra, invece, c'era forse un po' più di vita, se così la si poteva definire, poteva vedere un tratto di roccia battuta, che intuì fosse una strada. Concentrando lo sguardo con più attenzione in quella direzione si poteva anche notare qualche vegetazione secca e vecchia, ma non ancora del tutto morta, e ancora più in là c'erano piccole scintille, là c'era qualcosa di importante, se lo sentiva ma non riusciva capire cosa fosse. Infine si guardò alle spalle, dalla direzione dove proveniva per cercare di capire dove si trovava esternamente la sua prigione. Come già sospettato in precedenza, la prigione era stata ricavata scavando direttamente nella roccia.
Tutto su quel pianeta sembrava gigantesco in confronto al nulla che si estendeva tutt'intorno, infatti anche quel masso era enorme, e faceva quasi strano vederlo così gigantesco come una piccola montagna, con al suo interno addirittura una prigione, quando poi tutto intorno c'era il nulla. Hope tornò a guardare davanti a sé la struttura monumentale fatta a più cupole una sopra l'altra pensando a quanto fosse strano che non c'erano guardie o Sterminatori a controllare l'uscita della prigione.
Finalmente arrivarono a trovare riparo nell'ombra data da quella struttura, fece un profondo respiro e si rese conto che aveva la gola secca. Guardò Neyhla, stanca, accaldata e assetata più di Hope, mentre trasportava il suo uovo e finalmente comprese. Non c'era bisogno di guardie perché nessuno avrebbe avuto il coraggio di fuggire dalla prigione, che offriva un riparo fresco, talvolta freddo, dal caldo infernale che regnava all'esterno. Neyhla ne era la prova vivente, la sua razza amava l'umido, il clima temperato, non troppo caldo e non troppo freddo, ma con tanta acqua e pioggia, se fosse riuscita a scappare non sarebbe mai sopravvissuta al caldo, e nemmeno Hope sarebbe durata a lungo.
Un altro aspetto per cui non c'erano guardie era il fatto che la prigione non era molto distante dalla struttura in cui si stavano dirigendo, che non poteva essere altrimenti che il loro habitat. Chiunque fosse scappato sarebbe stato raggiunto e ucciso, oppure catturato in poco tempo.
Durante gli anni quel luogo mistico e surreale aveva preso tanti nomi: tana, nido, alveare, rifugio, covo, nascondiglio, persino inferno. Erano state inventate le descrizioni più fantasiose e orribili che si potessero immaginare, spaventose a dir poco.
Hope non sapeva che cosa aspettarsi, finché non varcò la soglia di un'alta porta. Non era spaventoso, era magico! Sembrava un palazzo reale, era ordinato, pulito, non c'era sangue in giro, e i Blood-Gobblers camminavano lungo linee immaginarie e schemi ferrei organizzati con estrema precisione. Nessuno si scontrava con un altro alieno , tutto era perfettamente coordinato e amministrato, ognuno aveva il suo compito e lo eseguiva con sicurezza e efficienza. Hope non poté fare a meno di pensare che forse quella razza considerata da tutti primitiva, forse era persino più evoluta di certe altre razze con cui era entrata in contatto. Continuarono a camminare dritto mentre le due neo-mamme osservavano tutti quei Sterminatori e anche il palazzo, anche lì la luce era fievole, ma rispetto alla prigione era molto più luminoso. Là dentro c'era una dolce freschezza che si avvertiva subito a contatto con la pelle, il pavimento su cui camminavano era lucido e liscio. Non c'erano decorazioni, ma tanti tunnel e strade che portavano ovunque, loro presero quello di una scala salendo, e ogni volta che passavano davanti a una finestrella, Hope sbirciava fuori, senza però riuscire a soffermarsi abbastanza a lungo per vedere qualcosa di utile.
Dopo aver fatto due piani di scale, si fermarono davanti a un'altra spessa porta in acciaio, questa fu aperta da uno dei due Blood-Gobblers mentre l'altro spinse le due prigioniere con la coda dentro la stanza e chiuse in fretta la porta lasciandole sole.

I Ribelli della X        [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora