Capitolo 43

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Francesco's POV
Tommaso mi aveva fatto vedere una parte di sé. Una ferita cucita a forza, da cui a volte saltava qualche maglia e da lì entrava la luce.
Ogni cicatrice di Tommy, bella o brutta che fosse, lo rendeva magnifico. Ogni insicurezza, ogni timidezza, lo rendeva bellissimo. E tutta quella forza, che non sapeva di avere, lo rendeva straordinario.
Avevo sempre ammirato le persone che dal dolore si rialzavano, raccoglievano le proprie macerie, non lasciavano disperdere le proprie ceneri e, al contrario, da esse rinascevano come fenici.
Tommaso era una di quelle. Quando il buio lo avvolgeva, c'era sempre uno spiraglio di luce a cui aggrapparsi per uscirne.
Pensavo tutto questo, mentre accarezzavo i capelli di Tommy, sdraiato sul divano, appoggiato con la testa sulle mie gambe. I suoi riccioli erano cresciuti e io amavo perdermi in mezzo a tutte quelle molle.
La tv davanti a noi era accesa e sullo schermo passavano le immagini di un videoclip di Loretta Goggi, la quale intonava Maledetta Primavera.
Tommy canticchiava leggermente, muovendo il piede a ritmo di musica, di tanto in tanto.
Chiusi gli occhi, godendomi la voce melodiosa di Tommaso che si diffondeva nella stanza, senza, però, cessare di accarezzargli i capelli.
Quella canzone aveva segnato una tappa importante della mia vita, estremamente dolorosa. L'avevo superata, poi. Crescendo. Immaginavo fosse accaduto per quel motivo. Avevo combattuto da solo, mi ero anche rivolto ad uno psicologo. O meglio, mi ci aveva mandato mia madre, quasi costringendomi. Beh, credo che in fin dei conti lo avesse fatto davvero, costringermi, intendevo. Mi aveva convinto che fosse quella la cosa giusta, ma dopo un paio di sedute mi ero rifiutato di tornarci. Dicevo a mia madre che sarei andato a piedi, da solo, perché non c'era bisogno che mi accompagnasse. In realtà, fingevo semplicemente di andarci, riponendo i soldi nel portafoglio di Alba Parietti, quando lei non se ne accorgeva.
La canzone terminò e, con essa, anche il mio fidanzato smise di cantare.
Sospirai, per poi cessare il movimento lento e rilassante che esercitavo sui capelli del ragazzo con la testa sopra di me.
Mi strofinai una mano sul viso.
'Fra'-fece lui, sporgendosi leggermente verso di me, per poi guardarmi negli occhi-'è tutto okay?'
Mi persi nei suoi occhi verdi, tendenti al marrone, per un attimo, dopodiché feci segno di no, mordendomi il labbro.
Tommaso si alzò, mettendosi a sedere, per poi appoggiare una mano sulla mia coscia.
'È per via della canzone?'-mi chiese, il suo tono di voce era colmo di amore e preoccupazione.
L'arguzia di Tommy mi stupiva sempre. Era in grado di cogliere anche il più piccolo particolare, quasi come se riuscisse a leggermi dentro, quasi come se avesse fatto una radiografia istantanea alle mie emozioni.
'Ti va di venire con me in un posto? Questa volta sono io a volerti mostrare un pezzetto di me'-affermai, non rispondendo, almeno per quel momento, alla sua domanda a proposito della canzone.
'Certo'-rispose lui con un sorriso dolce, per poi alzarsi dal divano, dopo aver spento la tv.
Afferrò la giacca di pelle, poi mi guardò.
'Faresti meglio ad indossare una giacca anche tu. Fuori tira vento'-si premurò.
Io, dal canto mio, annuii, entrando in camera nostra per prendere una felpa non troppo leggera dall'armadio.
'Sono pronto'-affermai, raggiungendolo accanto alla porta.
Lui, semplicemente, mi sorrise, per poi scompigliarmi leggermente i capelli.
Rassicurante.
Ecco com'era Tommaso, quando avvertiva che qualcosa non stava andando per il verso giusto. A volte, si preoccupava più per gli altri che per sé stesso. Eravamo anime simili, comunque. Anch'io facevo lo stesso.
Scendemmo insieme le scale, dopodiché salimmo in macchina.
Il mio ragazzo, non volendo scoppiare la bolla dei miei pensieri, restò in silenzio per tutto il tempo, cercando, al contrario, di infilarcisi dentro, in modo cauto, quasi impercettibile.
Mi accarezzò la mano che tenevo appoggiata sul cambio, per poi ritrarla, ma non fece in tempo. Gliela afferrai e la portai sul cambio, dopodiché misi la mia sulla sua, continuando indisturbato a cambiare le marce quando necessario.
Lo vidi sorridere con la coda dell'occhio. Tommy diceva sempre che le cose romantiche non facessero per lui, ma ogni volta si sorprendeva a sorridere di fronte a gesti simili ed io con lui.
Parcheggiai, per poi scendere dalla mia auto, gesto che il ragazzo precedentemente seduto accanto a me copiò.
Era nuvoloso quel giorno e il cielo scuro faceva centro in modo perfetto nel bersaglio di dolore posto al centro del mio petto.
Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo. Il parco in cui trovavo rifugio si stagliava di fronte ai nostri occhi, ormai in disuso, ormai rovinato dal tempo che passava e da tutte le intemperie a cui era stato sottoposto.
Lo scivolo rosso senza alcuni scalini, mentre altri erano ormai distrutti, era stato il teatro dei miei interminabili pomeriggi. La casetta su misura di bambino mi aveva accolto quando fuggivo dalla realtà, ma fuori pioveva, era stato il mio riparo.
Due altalene erano poste in fondo, una di esse era appesa solo tramite un'unica corda, l'altra si era lacerata.
Mi incamminai, calpestando l'erba non tagliata, verso un altro paio di altalene, sistemate accanto allo scivolo. Presi posto sulla prima, mente Tommy si sedette sulla seconda.
Ci dondolavamo in silenzio, ascoltando il rumore del vento che ci scompigliava i capelli e il cigolio di quelle catene non lubrificate, causato dai nostri movimenti.
'Venivo sempre qui, quando volevo scappare'-iniziai, pronunciando le parole a bassa voce-'Maledetta Primavera è stata la colonna sonora della rottura del rapporto tra i miei genitori. Era primavera, quando si sono lasciati. Ero da solo a combattere e la mancanza di un fratello o di una sorella con cui sostenersi a vicenda iniziava a farsi sentire. Mia madre mi portò da uno psicologo, perché non parlavo più molto. Dopo due o tre sedute decisi di non andarci più, tanto non gli dicevo nulla. Stavo zitto. Credo si trattasse anche di una forma di ripicca contro Alba. Lei mi aveva costretto, praticamente. Così, fingevo di andarci, ma in realtà venivo qui e quando tornavo a casa, riponevo i soldi nel suo portafoglio, senza permettere che se ne accorgesse. Fino a quando le dissi che stavo bene e che non avevo più bisogno di alcuna seduta'.
'Fra, a volte una figura come quella dello psicologo può aiutarti davvero'-asserì Tommy, voltandosi verso di me.
'Lo so'-risposi-'ma in quel momento non lo capivo. Ho elaborato il tutto da solo, seduto qui, su questa altalena. Se potessi tornare indietro, parteciperei ad ogni seduta, credimi.'
'Sei ancora in tempo, lo sai, vero?'-mi chiese Tommaso, posando una mano sulla spalla, dopo essersi districato tra le catene dell'altalena.
'L'ho superata, ormai. Semplicemente, a volte, quando sento questa canzone, i ricordi mi sovrastano'.
Lui annuì, facendomi intendere di aver capito.
'Questo parco era poco frequentato, per lo meno quando venivo io non c'era mai nessuno'-continuai-'Però, ricordo che un giorno un bambino era venuto da me e mi aveva fatto giocare con il suo cane. Si era avvicinato a me, dopo essersi allontanato da sua sorella e sua madre, e mi aveva chiesto perché stessi da solo. Gli avevo risposto che stavo bene in quel parco, da solo'.
'E lui? Cosa ti ha detto lui?'-mi domandò Tommaso, sbarrando leggermente gli occhi, in cui lessi un pizzico di intrepidazione. Non credevo che si potesse appassionare così tanto a questa storia.
'Mi ha detto che nessuno sta bene da solo e che insieme al suo cane mi avrebbe tenuto compagnia per tutto il tempo in cui sarebbe rimasto lì. Non riesco a ricordare bene i suoi lineamenti, è passato troppo tempo, immagino che se lo vedessi oggi neanche lo riconoscerei. Però mi ricordo del suo cane. Era un bassotto, si chiamava Chiodo, mi sembra'-conclusi.
Tommaso's POV
Io conoscevo già quel parco, ci ero stato a volte da bambino, quando con mamma e Gaia venivamo a far passeggiare il cane. Glielo avrei detto in seguito a Fra, che sapevo già la strada, da quando eravamo in macchina.

'Era un bassotto, si chiamava Chiodo, mi sembra'.
Con quell'ultima frase, Francesco aveva spazzato via ogni mio dubbio.
'Fra'-mormorai-'ero io quel bambino'.
'Cosa?'-esclamò lui, spalancando gli occhi-'Non ci posso credere'.
'Ero io. Me lo ricordo quel giorno. Era stato strano per me, vedere un bambino più grande di me così solo, quindi mi ero avvicinato spontaneamente. Eravamo già destinati, Fra'.
'Sono scioccato, devo dire la verità, in senso buono, ovviamente. Non me lo sarei mai aspettato. Ecco perché mi sembrava così familiare quella foto al cimitero!'-mi fece notare.
Io, dal canto mio, sorrisi, mostrando le fossette.
Il destino ci aveva fatto incontrare già da molto tempo prima.
Il destino non ci aveva fatti più rivedere, fino a qualche mese prima.
Il destino ci aveva rimessi sullo stesso cammino.
Il destino ci aveva fatto vedere cicatrici l'uno dell'altro ed eravamo lì, insieme, a leccarci le ferite.
Attirai Francesco a me, in un bacio che sapeva di casa, di congiunzioni astrali, di vuoti colmati.
Le nostre lingue giunsero in contatto, giocando a rincorrersi, le nostre labbra che si mordevano, lenivano il dolore subito dopo.
Francesco si staccò dal bacio, con il respiro affannato, appoggiando la sua fronte alla mia, per poi sorridermi.
Ti prego, Fra, rincorriamo insieme, ancora e ancora, il filo rosso del destino.
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Ciao cuoricini!
È stato il momento di Fra di scoprire qualche cicatrice passata e ha avuto anche una sorpresa!
Sto scrivendo un po' di cosine e scusatemi se non riesco ad aggiornare tutti i giorni, ma ho una maturità da preparare🥶
Vi abbraccio❤️

Amami sempre cosìDove le storie prendono vita. Scoprilo ora